FOOD NEWS SPECIALE

FOOD NEWS SPECIALE N°9 - COMING SOON... 

FOOD NEWS SPECIALE N°8 - OMEGA 3 E OMEGA 6: "Un tiro alla fune in cui è bene che nessuno vinca"

L'importanza del rapporto tra i lipidi polinsaturi della serie Omega 3 e quelli della serie Omega 6 è normalmente troppo sottovalutata o, ancora peggio, sull'argomento regna un bel po' di confusione. In questo FNS N°8, tenterò - sperando di riuscirci - di fare un po' più di chiarezza. E vale assolutamente la pena farla, aggiungo io, perché vi assicuro che si tratta di un parametro molto importante per valutare la qualità della nostra alimentazione e quindi della nostra stessa salute. La considerazione di partenza è proprio che, negli ultimi anni, questo argomento è stato chiamato in causa in modo sempre più insistente. E meno male, voglio dire, non possiamo che esserne contenti che ci sia sempre maggiore sensibilizzazione e attenzione. Però adesso forse abbiamo esagerato e ci sono alcuni consumatori che pensano che Omega 6 sia quasi una parolaccia. E allora bisogna cercare di capire bene esattamente i termini del problema in modo da vedere sempre le cose nel loro contesto e con loro giusto peso. Ed è per questo che vorrei cercare di mettere a fuoco insieme a voi la questione Omega 3 e Omega 6. Primo perché, come sempre, non dobbiamo perdere la misura delle cose: il bilancio Omega 3 e Omega 6 è importante, ma non è "IL" parametro che tutto determina e da cui dipende l'intera nostra sorte. E' "UNO" dei tantissimi fattori, importante senza dubbio, da tenere in considerazione nel valutare l'equilibrio del nostro regime alimentare. Secondo, un'altra cosa che spero di far capire qui e che gli Omega 6 non sono di per sé "cattivi". Siamo noi che li facciamo diventare cattivi, perché purtroppo la nostra dieta occidentale moderna rendere estremamente difficoltoso mantenere un buon equilibrio con la loro controparte, cioè gli Omega 3. E questo per due ragioni principali: da un lato per colpa dei sistemi di allevamento intensivo e di acquacoltura che depauperano i nostri pesci, le nostre carni, le nostre uova e i nostri latticini di Omega 3, riempiendoli invece di Omega 6, e dall'altro a causa di un eccessivo utilizzo di alimenti preparati e conservati industrialmente o preparati da fast food e catene di ristorazione che fanno un uso larghissimo di oli di semi, che sono la principale fonte di Omega 6 a scapito degli Omega 3 nella nostra alimentazione di tutti i giorni.Ma perché è davvero così importante questo equilibrio ? Ebbene, l'equilibrio dei lipidi nella dieta è una faccenda abbastanza complessa. Ne avevo vagamente accennato qua e là qualcosa in passato in qualche mio Food News precedente , ma senza mai soffermarmi troppo sulla questione. Riassumendo brevemente: abbiamo il problema della quantità totale ma soprattutto della qualità (non tutti i "grassi" sono uguali!), c'è il rischio dei "Grassi Trans" (o Idrogenati), c'è il rischio dell'ossidazione lipidica, tutta la questione del colesterolo, la questione di quanti dei lipidi che introduciamo sono saturi e quanti insaturi, e tra gli insaturi quanti sono monoinsaturi (come l'acido oleico dell'olio d'oliva) e quanti polinsaturi. All'interno dei polinsaturi poi, sulla base della struttura molecolare, distinguiamo finalmente due famiglie: i polinsaturi della serie Omega 3 e quelli della serie Omega 6. Entrambi hanno come capostipite un acido grasso essenziale, nel senso che non siamo in grado di costruircelo da soli ma ci serve, e quindi lo dobbiamo introdurre con l'alimentazione. Il capostipite degli Omega 3 è l'Acido Linolenico, quello degli Omega 6 è l'Acido Linoleico. Se abbiamo questi due, poi siamo in grado di costruirci da soli anche tutti gli altri. Queste due famiglie dei lipidi polinsaturi sono importantissime perché ci servono, fra le altre cose, per costruire i cosiddetti "eicosanoidi", che sono una classe di molecole dei nomi un po' strambi (prostaglandine, prostacicline, trombossani e leucotrieni), ma che sono importantissimi perché sono i "direttori d'orchestra" di moltissimi processi vitali per la nostra sopravvivenza. Tanto che tutte le cellule del nostro organismo producono eicosanoidi. A prima vista la biochimica di queste molecole appare molto complicata, perché per ogni molecola di questo gruppo che fa qualcosa ne esiste un'altra che fa l'esatto opposto ed entrambe sono potenzialmente utili ma anche potenzialmente pericolose. E siccome mi rendo conto, che detto così, sembra all'indovinello della sfinge, tra un attimo farò alcuni esempi per capirci. Ma prima cominciamo col dire - semplificando un po' - che gli eicosanoidi che derivano dagli Omega 3 e quelli che derivano dagli Omega 6, corrispondono grosso modo a queste due azioni opposte. Ed è per questo che quando spiego, ad es. ai ragazzi, gli Omega 3 e gli Omega 6, propongo spesso la metafora di due squadre che giocano al ...tiro alla fune: il team degli Omega 3 che tira da una parte ed il team degli Omega 6 che tira dall'altra.Ma vediamo finalmente qualche esempio:1) Gli eicosanoidi della serie Omega 6 tendono a promuovere l'aggregazione delle piastrine, quelli della serie Omega 3 invece tendono ad inibirla. Quali sono i buoni e quali i cattivi ? Beh, considerato che la formazione di coaguli piastrinici nel sangue può essere il primo passo verso un infarto, gli eicosanoidi che inibiscono l'aggregazione piastrinica potrebbero essere considerati i buoni, quelli che tengono il sangue fluido. D'altra parte nel momento in cui ci feriamo anche solo con un piccolo taglietto su un dito, saremmo destinati a morire dissanguati se non fosse per l'esistenza di quegli eicosanoidi che invece promuovono l'aggregazione piastrinica.2) Altro esempio, gli eicosanoidi della serie 3 promuovono la vaso dilatazione, cioè l'allargamento del calibro dei nostri vasi sanguigni. Mentre quelli della serie 6 promuovono la vasocostrizione, cioè il loro restringimento. Un'eccessiva vasocostrizione determina un aumento della pressione sanguigna ed aumenta il rischio di accidenti cardiovascolari, d'altra parte però un'eccessiva vasodilatazione produrrebbe un crollo di pressione pericoloso per la stessa sopravvivenza. Quello che accade ad esempio durante uno shock anafilattico.3) Altro esempio ancora, gli eicosanoidi della serie 6 stimolano la risposta immunitaria, quelli della serie 3 invece tendono a deprimerla. Beh, direte voi, questa è facile!...quelli buoni sono quelli che promuovono le difese immunitarie difendendoci dagli attacchi dei patogeni e dalla proliferazione di cellule tumorali. Eh no! Dipende. Se non ci fossero gli eicosanoidi "ombra", che invece pongono un freno alla risposta immunitaria, saremmo destinati a soffrire di numerose malattie autoimmuni, cioè quelle patologie - come l'artrite reumatoide, la sclerosi multipla o il morbo di Crohn, per citarne solo qualcuna - per cui il sistema immunitario, sovra stimolato, comincia ad attaccare le cellule sane del nostro organismo. 4) Ancora un altro esempio, gli eicosanoidi della serie 6 hanno attività pro infiammatoria e ovviamente quelli della serie 3 sono, all'opposto, anti infiammatori. Il processo infiammatorio è sicuramente qualcosa di cui preferiremmo fare a meno. Oltre a causare dolori, febbre, allergia e molto molto altro, genera radicali liberi che ci fanno invecchiare e aumentano il nostro rischio di malattie degenerative come tumori e aterosclerosi. Anche qui però, d'altra parte, nel momento in cui si tratta di far fronte all'attacco di batteri patogeni che hanno infettato il nostro organismo, è proprio la risposta infiammatoria quella di cui abbiamo bisogno per liberarcene il più in fretta possibile.E potremmo andare avanti ancora a lungo a fare esempi di questo tipo, ma penso che possiamo risparmiarcelo perché a questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti che la chiave di questo sistema di pesi e contrappesi sta proprio nell'equilibrio. E cioè, in quel gioco di tiro alla fune di cui parlavo sopra, la soluzione migliore per noi è che non vinca mai nessuno, ma che ci sia sempre un equilibrio tra Omega 3 e Omega 6. Ed infatti - idealmente - li vorremmo in quantità pari, ma siccome nella nostra alimentazione sarebbe oggettivamente complesso, diciamo che dovremmo cercare di stare almeno dentro la proporzione di 1 a 4, cioè almeno un grammo di Omega 3 per ogni 4 grammi di Omega 6 che introduciamo. Ahimè, nella nostra alimentazione occidentale moderna invece, noi abbiamo in media un rapporto di 1 a 12 (nei casi migliori) ma molto, moltissimo più sbilanciato se non si cura un minimo la propria alimentazione. Non è scandaloso quindi, in alcuni singoli soggetti, avere rapporti di 1 su 20 e anche di più. Cioè 12/20 volte più Omega 6 che Omega 3. Quindi, decisamente, la fune sta un po' troppo nel campo degli Omega 6, per cui "troppa forza" pro infiammatoria, pro aggregante, ipertensiva, rischio di malattie autoimmuni, rischio di accidenti cardiovascolari eccetera. Attenzione però dall'altra parte, che a causa di questo e delle raccomandazioni che ne seguono, in molte persone resta l'idea che gli Omega 6 siano qualcosa di cattivo o che fa male di per sé. Ma come abbiamo appena visto, non è affatto vero, sono entrambi indispensabili affinché ci sia un equilibrio tra le varie spinte. Ora, si dà il caso che nella nostra dieta occidentale media questo equilibrio sia sproporzionatamente sbilanciato a favore degli Omega 6 e per cui ripetiamo sempre "attenzione a non esagerare con gli Omega 6" e "mi raccomando cerchiamo di recuperare anche gli Omega 3"....e via dicendo. Ma se per ipotesi la nostra dieta fosse diversa, al contrario avessimo troppi Omega 3 rispetto agli Omega 6, sarebbe ugualmente pericoloso. E allora staremmo qui a descrivere gli Omega 3 come i "cattivi" e gli Omega 6 come i "buoni".Altra cosa, ricordiamo che il nocciolo del problema sta appunto nell'equilibrio di questi due tipi di grassi polinsaturi NEL COMPLESSO della nostra alimentazione, non in ciascun SINGOLO alimento! Perché ogni tanto sento anche giudizi del tipo, "ah, come fai a dire che questo alimento é salutare perché ha tanti polinsaturi (parlo del burro di arachidi N.d.R.) ? ...non lo sai che tutti i suoi grassi sono Omega 6 ed è completamente privo di Omega 3 ?" E beh? E allora ?!? Gli Omega 3 li prenderò da qualche altro alimento! L'equilibrio deve essere nel COMPLESSO della mia alimentazione! Il singolo alimento può anche avere solo Omega 6 o solo Omega 3, non ha alcun senso dare un giudizio negativo ad un alimento singolo solo perché ha solo Omega 6 e non Omega 3 e magari ha tante altre eccellenti proprietà nutrizionali.E allora, insomma, come si risolve in modo pratico quello che - a prima vista - può sembrare un dilemma ? Una cosa è certa, dobbiamo avere un occhio di riguardo verso quello che oggigiorno possiamo ritenere, a ragione, il vero e proprio "anello debole della catena". E oggi sono senz'altro gli Omega 3, questo è fuor di dubbio. La principale fonte di Omega 6 nella nostra dieta sono gli oli di semi, per cui la mia raccomandazione è quella di limitare il più possibile l'utilizzo di questi oli. E voi direte, vabbè ma tanto io uso il caro vecchio Olio E.V.O (Extra Vergine d'Oliva) e sto' a posto. Attenzione! L'olio E.V.O. è quello che aggiungete voi sull'insalata o quando fate da mangiare, ma se solo fate un uso anche moderato di prodotti preparati e confezionati dall'industria o della ristorazione, vedrete che questi fanno un larghissimo uso di oli di semi, specie quelli peggiori, intendo quelli delle più infime qualità nutrizionali (palma, ma peggio ancora palmizio, colza, etc.) semplicemente perché più economici o perché conservano il prodotto per più tempo e contemporaneamente con una spesa inferiore. Non parlo solo di prodotti sottolio, ad esempio, ma di ingrediente per qualunque tipo di salse, sughi, creme, biscotti, merendine, piatti pronti surgelati e così via. Quindi, per carità, non dico che bisogna rifuggirli come fossero veleno (alcuni, quasi, ci vanno vicini), ma insomma starci un po' attenti, quello si. Leggere le etichette nutrizionali è assolutamente consigliato. Chiedere, "scusi ma in che olio sono fritte queste patatine ?" eccetera. In casa invece usiamo certamente solo olio d'oliva, e a crudo mi raccomando, perché per la cottura vanno molto meglio altri tipi di grassi, tipo l'olio di cocco o lo stesso burro giallo grass-fed, che poi altro non significa che proveniente da animali nutriti ad erba (e non a pastoni di cereale e chissà cos'altro). Quest'ultimo sostituibile con il burro chiarificato (burro ghi o ghee) nel caso ci si trovasse in presenza di intolleranza al lattosio.D'altro lato per recuperare abbastanza Omega 3 possiamo certamente puntare sul pesce, almeno tre volte la settimana, consumato crudo, marinato, oppure cotto in modo rapido e delicato, sennò gli Omega 3 si ossidano. Preferendo il pesce azzurro e il pesce pescato rispetto a quello allevato (meglio un pesce surgelato pescato che uno fresco di allevamento). E poi anche carne, uova, yogurt, ricotta (senza latte) e formaggi molto stagionati (sempre provenienti da animali grass-fed) possono essere buone fonti di Omega 3. Ripeto però...lo so, sarò noioso...SOLO se provenienti da animali allevati al pascolo e nutriti ad erba d'estate e fieno d'inverno. Non quelli di allevamento intensivo nutriti a cereali!Il vantaggio degli Omega 3 degli alimenti animali, rispetto a quelli dei vegetali, è che sono già presenti nella forma più attiva come EPA e DHA, ovvero Acido Eicosapentaenoico e Docosaesaenoico (assomigliano a scioglilingua, me ne rendo conto), ovvero ancora derivati metabolici dell'acido linolenico, appunto il nostro caro Omega 3. Ora, noi ce l'abbiamo l'enzima per convertire l'alfa linolenico in EPA e DHA ma è una conversione un po' lenta e quindi se li introduciamo già pre-formati è meglio per noi. Non solo, questo enzima E' LO STESSO usato anche dall'Acido Linoleico Omega 6, per allungare la sua di catena e quindi, Linoleico e Alfa Linolenico competono per lo stesso enzima, ecco perché diciamo che la conversione di Alfa Linolenico in EPA e DHA è inefficiente. Ma lo è ovviamente ancora di più, se la dieta è piena di Omega 6 perché l'enzima è impegnato con tutti quegli Omega 6 e l' Alfa Linolenico, poverino, si ...perde nel mucchio. Ed è ancora per questa ragione che i vegani non hanno assolutamente nulla da preoccuparsi (almeno) per gli Omega 3, anche se non mangiano il pesce. A patto che stiano ancora un po' più attenti a limitare gli Omega 6, in modo tale da lasciare libero l'enzima per convertire l'Alfa Linolenico dei vegetali in EPA e DHA. E poi certamente non devono farsi mancare quegli alimenti vegetali particolarmente ricchi di Omega 3, che nella fattispecie sono alcuni tipi di alghe, i semi di lino, i semi di chia, i semi di canapa e - tra la frutta secca - le noci, più di tutti gli altri tipi (rapporto perfetto: 1 a 4). Frutta e verdura ne contengono anche loro seppur in quantità molto piccole però, se ne mangiamo tante, alla fine si somma anche quest'altro modesto apporto.Personalmente, tutto ciò sopra considerato, in un buon 80-90% dei casi io consiglio una integrazione supplementare di Omega 3 (di qualità) all'interno della normale integrazione alimentare di base. Questo chiaramente a prescindere dall'attività fisica più o meno praticata che, per quello che abbiamo visto fino ad ora, c'entra si, ma in modo abbastanza relativo. La mia eventuale decisione infatti scaturisce principalmente da un'anamnesi dettagliata ad-personam, soprattutto della storia alimentare pregressa, ma non solo, del soggetto in questione.Dosi invece molto maggiori di Omega 3 - da supplementazione - possono essere utili solo in alcuni casi specifici. In particolare per le persone che hanno problemi di malattie autoimmuni o infiammatorie, come l'artrite, e le persone a rischio cardiovascolare che hanno problemi di ipertensione e trigliceridi alti e vogliono evitare il ricorso a farmaci, ma sempre e comunque sotto la supervisione di un medico o di un nutrizionista. Le persone che invece devono evitare i supplementi di Omega 3 sono le persone immuno compromesse, perché abbiamo visto come gli Omega 3 tendano a deprimere un pochino lo slancio immunitario. Inoltre le persone che hanno problemi di pressione molto bassa (per via dell'ulteriore vaso dilatazione) e le persone che hanno problemi di sanguinamento eccessivo, ad esempio sangue dal naso. Perché gli Omega 3, fluidificando il sangue, inibiscono l'aggregabilità piastrinica. Anche le persone che già prendono farmaci anticoagulanti o per abbassare la pressione del sangue non devono prendere supplementi di Omega 3 perché altrimenti avrebbero un effetto pericolosamente potenziato.Insomma, per concludere, se si inserisce con una buona frequenza il nostro nazional-popolare pesce azzurro, pescato, con una certa frequenza nella nostra quotidianità, con pochi altri accorgimenti strategici derivanti dall'assunzione vegetale, all'interno di una corretta "coscienza alimentare", dovremmo riuscire a combattere e vincere la nostra battaglia per raggiungere il tanto agognato stallo in questo metaforico tiro alla fune dove...è bene che nessuno vinca.Che dirvi quindi, alla fine, prima di salutarvi ? Beh, forse........Buona pesca!

FOOD NEWS SPECIALE N°7 - LA QUALITÀ ALIMENTARE - Parte 4, the Last One: "Tiriamo le somme. Considerazioni, spunti di lettura e proposte di soluzioni"

Ed eccoci finalmente alla tanto attesa "resa dei conti" finale. In questa quarta ed ultima parte di questo FNS N°7, proseguiremo e (finalmente) concluderemo la lunga divagazione sul sistema agroalimentare e sul declino nutrizionale dei nostri alimenti nel corso dell'ultimo secolo. Nelle puntate precedenti avevamo provato a capire cosa era andato storto in allevamento e in agricoltura, qui bensì vedremo come è possibile uscire da questa situazione prima che sia troppo tardi. Inoltre vorrei darvi alcuni consigli di lettura, per chi vuole eventualmente approfondire come merita un tema così complesso ma naturalmente anche alcuni suggerimenti concreti che possiamo implementare subito. Prima di tutto ciò però vorrei partire da una considerazione sull'obiezione vegana soprattutto in merito alla seconda puntata, quella sull'allevamento, la quale sostanzialmente dice: "ma insomma continui a dire che una dieta vegana non pone problemi (se fatta bene, anzi direi meglio, a regola d'arte), che la carne se si abusa fa male, che bisogna mangiarla insieme alla verdura per minimizzarne i danni, che il sistema produttivo odierno danneggia l'ambiente, che consuma risorse, è penoso per gli animali e per di più produce cibo di bassa qualità... Ma allora perché invece di arrampicarsi sugli specchi, tentando di aggirare tutti questi problemi non dici semplicemente di non mangiare prodotti animali e così si risolve il problema alla radice in un colpo solo ? In buona sostanza, basterebbe togliere l'ultima fettina di salame dagli occhi per arrivare alla soluzione naturale di tutti questi problemi che è semplicemente dire, via le produzioni animali!"Ecco, permettetemi ma io non sono d'accordo su questo. Più che altro non credo sia la soluzione migliore, di sicuro non la più facile. Forse avrò davvero una fettina di salame sugli occhi... ma attenzione anche a non mettersene una di tofu! Cioè ad esasperare la condanna alla dieta onnivora. In primo luogo non possiamo confondere l'uso con l'abuso e poi qualunque cosa usata in modo sbagliato comporta dei rischi e così come dico - quando mangi la patata tieni la buccia per minimizzare i rischi di picco glicemico inopportuno - così dico, quando mangi la carne mangia anche la verdura per minimizzare i rischi sul colon... Il principio è lo stesso. Poi, nutrizionalmente, ritengo che sia più facile e più vario seguire una dieta equilibrata, protettiva e salutare che sia principalmente vegetale, e su questo siamo tutti d'accordo, ma che includa anche un consumo moderato di prodotti di origine animale. Ci sono alimenti come le uova, lo yogurt ed il pesce pescato, specie quello nostro, quello azzurro, ai quali mi dispiacerebbe dover rinunciare. In questo FNS però volevo anche offrire uno spunto di riflessione che nella mia visione di agricoltura sostenibile, gli animali servono, così come servivano ai nostri bisnonni. Per questo non auspico un sistema agroalimentare senza animali, perché la mucca che pascola libera nei prati mangiando erba d'estate e fieno d'inverno, lei non consuma nulla perché usa solo l'energia del Sole che è illimitata e fa crescere l'erba che noi non mangiamo. E quindi trasforma per noi l'energia del Sole in alimenti come uova, carne o latte di ottima qualità ad impatto ambientale zero ed anzi arricchendo il suolo, fertilizzandolo e promuovendo la bio-diversità. La gallina o il pollo che vanno a beccare liberi gli insetti e le larve dal letame della mucca, hanno un ruolo straordinario di sanificazione che altrimenti richiederebbe l'uso di fitofarmaci, come i pesticidi e al contempo aiutano a fertilizzare il suolo che altrimenti richiederebbe l'uso di altri fitofarmaci, come i fertilizzanti. Al contempo ci danno alimenti di ottima qualità, pieni di Omega3, di proteine e minerali eccezionalmente bio-disponibili, al contrario delle galline che mangiano solo granaglie. Certo che non ha senso dargli solo cereali, che dobbiamo produrre apposta con enorme spreco di spazio, di energia e di risorse e che richiedono monocolture, fertilizzanti e pesticidi! Cereali che fra l'altro potremmo mangiare direttamente noi. Ma non ce n'è bisogno, perché questi animali sono mille volte più contenti se possono andarsene in giro liberamente a beccare qua e la, insetti, erba, avanzi di cibo e li trasformano in letame che fertilizza e in uova e carne che ci nutrono. Prendiamo il maiale...è un'animale straordinario perché é onnivoro e lo si fa felice con quello che avanza dal raccolto o con le derrate in scadenza dei supermercati, che oggi per un'ATROCE legge europea devono essere buttati via. Ed invece ai maiali diamo sempre mais, mais ed ancora mais (diventeranno gialli prima o poi...) e soia, soia, continuamente soia (...o verdi tipo Hulk!), che dobbiamo produrre con le monocolture, monocolture e sempre monocolture. Mentre invece il maiale sarebbe mille volte più felice se gli dessimo le derrate in scadenza dei supermercati, perché avrebbe una dieta molto più varia e produrrebbe una carne molto più buona. Attenzione, non stiamo parlando di cibi marci, contaminati o andati a male, ma cibi prossimi alla data di scadenza o appena scaduti che non possono essere venduti per legge ma sono ancora perfettamente buoni! Purtroppo però dal 2001, presi dal panico per la questione dell'afta epizootica, abbiamo qui in Europa questo regolamento assurdo che impedisce di usarlo come cibo per i maiali e quindi dobbiamo perpetrare ogni volta questo scandaloso spreco di tonnellate e tonnellate di derrate alimentari che vanno dritte dritte in discarica. Ma ritorniamo al nostro caro e roseo (non si sa fino a quando) maialino. Lui è un meraviglioso "impianto di riciclaggio", un vero miracolo della natura in quanto trasforma gli avanzi, in letame che fertilizza ed in cibo che ci nutre. E quindi gli allevamenti intensivi sicuramente no - sono io il primo a dire che sarebbe meglio farne a meno sia per il bene dell'ambiente, sia per il benessere di quei poveri animali e sia per il bene della nostra salute - ma se diventassimo tutti vegani allora avremmo inevitabilmente bisogno di monocolture, con perdita di biodiversità e comunque con l'uso di pesticidi e fertilizzanti derivati dal petrolio. Perché sono solo la mucca, il pollo ed il maiale che possono rimpiazzarli in modo ecologico e naturale. Ovvio, avremo meno carne e costerebbe un po' di più ma questo non sarebbe poi un gran male perché noi oggi ne mangiamo abnormi quantità di scarsa qualità ed invece dovremmo imparare a mangiarne meno ma di ottima qualità esattamente come facevano quei fortunati dei nostri trisnonni. Questi animali vivranno felici e contenti e ci daranno carne latte e uova di straordinario profilo nutrizionale, ma soprattutto ci consentiranno di praticare un'agricoltura più sostenibile anche per quanto riguarda le produzioni vegetali. Qui si usa il futuro ma, non è un'utopia sia chiaro, ci sono già fior di agricoltori ed allevatori che hanno riconosciuto che questa è l' UNICA VIA DI USCITA sostenibile ed estremamente fattibile. Di fatto ci sono già moltissimi esempi di fattorie polifunzionali che producono in questo modo ed hanno dimostrato che non è una fantasticheria da "figli dei fiori", ma un sistema di produzione eccellente e fattibilissimo, ecologico, economico e sostenibile. Un sistema che non inquina, che arricchisce invece di consumare il suolo, che utilizza principalmente il Sole anziché il petrolio e che non ha bisogno di chimica. Che rispetta il benessere degli animali e che a conti fatti non è neppure meno produttivo delle monocolture e degli allevamenti intensivi. Alla fine si avranno più calorie vegetali e meno calorie animali di quante ne abbiamo oggi, ma questo può essere solo un bene per tutti. PER CHI HA VOGLIA DI APPROFONDIREIo non vi chiedo di prendermi in parola ma, per chi è interessato ad approfondire, raccomando 3 letture che sono secondo me validissime, non solo perché molto ben documentate su lo stato corrente delle cose. Quindi ci consentono di approfondire i problemi, ci forniscono spunti di riflessione, spunti che abbiamo in parte sollevato nell'arco delle ultime 3 puntate, ma soprattutto sono molto concrete per produrre soluzioni sia di sistema che di comportamento del consumatore, cose cioè che possiamo già fare noi nel nostro piccolo tutti i giorni. In più vi danno alcuni esempi concreti di realtà in cui alcune di queste soluzioni sono state già messe in atto. Per farvi capire come non stiamo facendo discorsi utopistici, ne tanto meno stiamo parlando di tornare al passato, ma è l'unico modo affinché sia possibile un futuro. Perché, allo stato attuale delle cose, stiamo andando dritti a schiantarci di brutto e pure con una benda sugli occhi. Invece a mio modo di vedere siamo ancora (ma non per molto) in tempo per aggiustare la rotta, ma dobbiamo agire presto.- La prima lettura è "Il dilemma dell'onnivoro", di Michael Pollan (ringrazio ancora i miei amici per lo splendido pensiero che hanno avuto regalandomi questo prezioso libro!). Nella prima parte esplora il sistema perverso di sovvenzioni, di tecnologie per trasformare il petrolio e il gas naturale in mais e soia, attraverso monocolture e poi in prodotti animali attraverso allevamenti intensivi. Esplorando in dettaglio tutte le ricadute in termini di impatto ambientale, di benessere animale e di valore nutrizionale. Nella seconda parte invece si occupa del mondo delle produzioni biologiche con tutte le sue potenzialità ma anche le sue contraddizioni, in particolare per quanto riguarda il "biologico industriale". Fra l'altro l'autore - che è un giornalista americano - ha uno stile narrativo davvero delizioso, quindi ne risulta anche una lettura incredibilmente dilettevole.- La seconda lettura é "Farmageddon - il vero costo della carne a buon mercato", che io consiglio assolutamente di abbinare all'altro libro appena visto sopra. L'autore, Philip Lymbery, è un europeo e quindi ci aiuta meglio a capire come vanno le cose anche qui da noi. Per cui se pensavamo di essere tranquilli perché tutte quelle cose là le fanno solo negli USA, ecco che questo libro ci riporta subito con i piedi per terra, facendoci capire che ahimè così non è... Dai disastri che ha creato l'allevamento intensivo di maiali nella Bretagna al modo dubbio con cui è stata recepita la legislazione europea sul benessere delle galline ovaiole, ad alcune pratiche raccapriccianti di itticoltura in Europa. Ma il libro non si ferma solo all'Europa, vi porta anche negli Stati Uniti, nell'America del Sud e persino in Cina, per avere una panoramica degli errori e degli orrori nella produzione di carne "economica". Che è a buon mercato solo se si ignorano i costi nascosti di tasse e sussidi, di danni ambientali, di consumo di risorse, e di consumo di energie non rinnovabili nonché dei costi sanitari a causa dei danni alla salute del consumatore. Per fortuna nel libro ci sono anche buoni esempi che ci indicano la via di uscita.- La terza lettura è "Waste" (Sprechi), di Tristram Stuart, che indaga sull'enorme problema dello spreco alimentare. Noi ancora siamo lì a sentirci in colpa se buttiamo in pattumiera un avanzo della cena, ma la cosa davvero raccapricciante sta nello spreco di tonnellate di derrate alimentari, sia a livello di produzione post-raccolto che a livello industriale e di distribuzione. Derrate fresche che vanno a male ancora nei magazzini e nei centri di distribuzione, ancora prima di raggiungere i punti vendita o nei punti vendita stessi. Le derrate conservate, quando si approssima la scadenza nei supermercati (il più delle volte questi sono cibi ancora perfettamente buoni) vengono buttati via, in parte per la legislazione corrente ma anche perché dal punto di vista strettamente economico quasi sempre conviene buttarle via anziché - ad esempio - implementare sistemi logistici migliori per ridurre l'entità del problema, oppure reindirizzare tali alimenti ad altri usi, come l'alimentazione animale. Solo ultimamente e solo alcuni supermercati propongono i cibi prossimi alla scadenza con sconti, in genere intorno al 50%. Ma, sebbene meglio che niente, è solo una goccia nel mare.Insomma, come ormai avrete capito, ci sono molte cose da fare o da migliorare e la lettura di questo libro è da un lato è scioccante ma illuminante a tal proposito.AGIAMO!Ma cosa possiamo fare noi sin da domani mattina, nel nostro piccolo, al supermercato ?- Innanzitutto privilegiamo sempre, ogni volta che ci è possibile, i prodotti più freschi ed interi rispetto a quelli conservati e trasformati dall'industria. - Se dobbiamo ricorrere ai prodotti trasformati, privilegiamo sempre quelli con l'elenco degli ingredienti più corto nell'etichetta. In cui i nomi degli ingredienti siano per la maggior parte riconoscibili. Se iniziamo a leggere nomi "strani", o troppe diciture di additivi, tipo "Exxx", evitiamo.- Le produzioni vegetali biologiche ci danno, almeno sulla carta, più garanzie dal punto di vista del non utilizzo di fitofarmaci, ma se ne abbiamo la possibilità, fate come me, parlate direttamente con un coltivatore e andate conoscerlo, ad esempio facendo parte dei vostri acquisti direttamente presso un azienda agricola o iscrivendovi ad un Gruppo d'acquisto o ad un qualche sistema di consegna a domicilio.Sui prodotti animali...- Per il pesce, preferire sempre quello pescato rispetto a quello d'allevamento, anche surgelato, molto meglio. Specie se la surgelazione come quasi sempre accade, avviene direttamente sulle barche da pesca. Il profilo nutrizionale è totalmente differente! Cosa che potrete facilmente verificare semplicemente prendendo in mano una confezione di salmone affumicato di allevamento e una di salmone selvaggio...Vi sembreranno due specie di pesce completamente differenti.- Quando compriamo le uova, quelle di batteria evitiamole di sicuro, almeno di allevamento a terra, ma molto meglio Bio e di allevamento all'aperto. Se poi state alla ricerca della vostra bella azienda agricola, sceglietene una che abbia anche il pollame (ruspante) e a quel punto potrete berne tranquillamente il contenuto dal guscio proprio così come chi ha la mia età si ricorda facevamo da ragazzi. Bei tempi.- Carne. Purtroppo è meno facile, come dicevamo nella seconda puntata, il marchio Bio non è garanzia di dieta animale ottimale, bisognerebbe cercare espressamente carne da allevamento al pascolo, ad erba, o comunque di bovini che si mangino erba d'estate e fieno d'inverno. Tenete presente che una volta che la troviamo, magari ad un prezzo conveniente, possiamo comprarne un po' e congelarla.- Stesso discorso per carne di maiale, latte e latticini, bisogna impegnarsi un po' e fare un indagine degli esercizi commerciali nei propri dintorni, chiedere, eventualmente ricorrere ad internet e vedere se ci sono produttori che consegnano nelle nostre città o anche direttamente a domicilio o magari dove possiamo andare a rifornirci direttamente presso il loro spazio, in modo tale da poter vedere chiaramente gli animali al pascolo. Magari sfruttando un week end di bel tempo, con la scusa della classica gita "fuori porta" (come si usa dire qui, tra noi romani). E poi comunque visto che gli allevamenti intensivi non sono una cosa che possiamo far sparire da un giorno all'altro, un'altra cosa che secondo me come consumatori dovremmo chiedere con fermezza è che, sia gli allevamenti che gli impianti di macellazione, siano obbligatoriamente accessibili e trasparenti. Mentre oggi sono quasi tutti estremamente "opachi" ed inaccessibili, come se volessero farci dimenticare quello che succede dietro quelle mura (inaccessibili anche alle TV, che neanche le prigioni o Fort Knox). Come se avessero paura che se i consumatori vedessero come vengono allevati o come vengono macellati gli animali, non comprerebbero più prodotti animali. O peggio, come se avessero qualcosa da nascondere...e a volte purtroppo è proprio così (della serie "a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina"). Anche semplicemente nel non rispetto degli standard minimi previsti per il benessere animale (già estremamente bassi) o perché vengono utilizzati farmaci che non dovrebbero. Impianti visitabili, non magari al loro interno perché evidentemente ci sono rischi igienico sanitari o di sicurezza, ma certamente dovrebbero avere delle vetrate, come le sale operatorie in modo che sia possibile vedere da fuori quello che succede dentro. Perché la trasparenza (in tutti i sensi) è l'unico modo davvero efficace, da un lato per evitare che lì dentro succedano cose che non dovrebbero succedere, ma soprattutto per affrontare il problema etico dell'uso degli animali per l'alimentazione umana. Dovrebbero essere visite come quelle che si fanno a scuola, uno vede cosa succede e come succede e poi se non gli sta bene diventa vegano o vegetariano, se gli sta bene no, ma almeno lo fa con consapevolezza e non elude il problema dietro ad un velo di ignoranza come, ahimè, succede il più delle volte oggi. CONCLUSIONI: Finisce con la puntata di oggi, il nostro viaggio ai confini del... sistema agroalimentare moderno. Spero innanzitutto di non avervi annoiato troppo (era il primo esperimento di un FNS a puntate!), di aver contribuito a fare un po' più di chiarezza su questo argomento così "spinoso", ma soprattutto a far crescere in voi una consapevolezza maggiore. Già...CONSAPEVOLEZZA... la nostra unica arma, con la quale tentare una qualche difesa in un mondo alimentare così complicato e che a volte ci spaventa anche solo per questo motivo. Grazie per la pazienza e ...a presto!

FOOD NEWS SPECIALE N°7 - LA QUALITÀ ALIMENTARE - Parte 3: "I sistemi di produzione degli alimenti vegetali"

Abbiamo parlato, nella puntata precedente, dei sistemi di allevamento e del cibo animale, affrontiamo oggi - parafrasando un famoso modo dire - "l'altra metà della mela". E considerando il fatto che parleremo del mondo vegetale, ci sta proprio tutto direi. Analizzeremo quindi ancora il sistema agroalimentare, vedremo ancora una volta dove e cosa è andato storto nell'ultimo secolo, analizzeremo la qualità dei nostri alimenti, ma stavolta lo faremo parlando del mondo vegetale, quindi di agricoltura.TUTTO INIZIO COSI'...La nostra storia inizia dopo la fine della 2.a Guerra Mondiale, allorché si pose il problema di cosa farsene di tonnellate e tonnellate di Ammonio Nitrato che veniva utilizzato dall'industria bellica per fabbricare gli esplosivi. Ora, si da il caso che l'ammonio nitrato sia la base tanto del TNT quanto dei fertilizzanti.... Quindi qualche brillante scienziato (veri e propri GENI che l'umanità non potrà mai ringraziare abbastanza) si rese presto conto che si poteva utilizzare molto facilmente per produrre grandi quantitativi di fertilizzanti chimici in modo del tutto economico. Ed in più smantellando contemporaneamente un arsenale che magari qualche problemino di COSTI per un corretto smaltimento poteva crearlo. Allo stesso tempo qualcun'altro si rese conto che con un semplice "aggiustamento del processo" gli impianti produttivi di gas velenosi, sempre sviluppati durante la Grande Guerra come armi chimiche, potevano essere riconvertiti alla produzione di pesticidi. E così gli agenti nervini, organofosfati (derivanti dall'acido fosforico), con un semplice adattamento, poterono essere facilmente trasformati da armi chimiche contro l'uomo, ad armi chimiche contro gli insetti. Insomma, della serie, non si butta niente. Il motto di ogni brava massaia...ma a differenza di queste ultime, con meno, molta meno lungimiranza!Ed ecco quindi che - finita la guerra - vi fu questa enorme riconversione delle industrie che producevano esplosivi ed armi chimiche in industrie che producevano fertilizzanti e pesticidi derivati da combustibili fossili: petrolio, carbone e gas naturale. E fu proprio questa scelta sciagurata ad innescare un cambiamento epocale, velocissimo e di entità colossale dell'intero modello di produzione agricola. Dapprima negli USA e poi - con un vero e proprio effetto domino - nel resto del mondo. Mais e soia emersero subito come le due colture che con maggior efficienza e rapidità potevano trasformare l'energia del petrolio in forme di energia che potevano nutrire l'uomo. Prima di allora, per fertilizzare il suolo ci si doveva affidare alla rotazione delle colture. Si piantavano i legumi che arricchiscono il suolo di azoto, grazie ai batteri che vivono sulle loro radici, e questo insieme al letame degli animali al pascolo ne garantiva la fertilità. Con un processo certamente meno efficiente dal punto di vista del tempo e della produttività, ma che era perfetto dal punto di vista ecologico. Proprio perché tutta l'energia utilizzata per la produzione agricola derivava direttamente dal Sole, quindi a costo zero, pulita e rinnovabile. Laddove l'uso di fertilizzanti e pesticidi passa per l'utilizzo di combustibili fossili, quindi non rinnovabili ed inquinanti. Inoltre, sia durante la produzione sia una volta sparsi sui campi coltivati, acidificano le piogge, contaminano le falde acquifere e arrivano ai fiumi e ai laghi dove creano fenomeni di eutrofizzazione, vale a dire la super-crescita di alghe (dovuta appunto ai fertilizzanti) che poi ricoprono la superficie e tolgono ossigeno all'acqua sottostante, per cui tutto sotto muore. L'ecosistema muore e fra l'altro mentre si decompone genera anche gas tossici che hanno anche causato incidenti mortali in più parti del mondo...e continuano a farlo ancora oggi.Ma non solo...la pratica della monocoltura in se, distrugge gli ecosistemi locali perché improvvisamente invece che allevare e coltivare tante cose diverse, sparisce tutto e si fa solo mais o soia per centinaia e centinaia di km. E questa perdita di biodiversità si ripercuote sulla flora e soprattutto sulla fauna locale, già messa a dura prova dall'uso dei pesticidi che devono essere usati in modo sempre più massiccio perché una monocoltura è molto più in balia della sorte. Se arriva un parassita che attacca il mio mais, ed io ho solo mais e pure della stessa varietà per ettari ed ettari, è la fine. Se invece avessi avuto 20 colture diverse, o perlomeno 20 varietà di mais diverse, ecco che le altre 19 potevano essere salve. Sta di fatto che a partire dagli anni '50 la produzione di mais e soia in grandi quantità ed a buonissimo mercato è esplosa in modo assolutamente esponenziale fino ai nostri giorni. Ma voi potreste dirmi...a me non sembra di mangiare tutto questo mais e tutta questa soia! ...Si, vabbè, ogni tanto metto un po' di mais nell'insalata, magari mangio la polenta di quando in quando o sgranocchio una pannocchia... Per quanto riguarda la soia, un po' di tofu, di latte o salsa di soia ma poco altro... Errore! Perché si, ve li mangiate senza vederli ed in quantità assai maggiori, a volte addirittura molto esagerate (e come diceva il grande Totò, è la somma che fa il totale)! In pratica ciò avviene in 2 modi diversi:1) Con il mais e con la soia si fanno la stragrande maggioranza di ingredienti ed additivi utilizzati dall'industria alimentare. Prendiamo il mais: dal germe si fa l'olio di mais che però può essere idrogenato (il famoso grasso trans) per fare margarine vegetali, dalla buccia gialla si isolano vitamine ed altri supplementi nonché isolati proteici molto usati in alimentazione animale, dall'endosperma (la percentuale maggiore del chicco) si ricava l'amido, quindi la farina di mais e l'amido di mais. Oppure si può trasformare in zuccheri semplici per fare lo sciroppo di mais, lo sciroppo di glucosio oppure lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, che sono in assoluto i 2 dolcificanti più utilizzati dalle industrie e se ci fate caso, leggendo le etichette nutrizionali, li trovate dappertutto. Oppure si può fermentare per farne alcol, oppure per ottenere acido citrico, acido lattico ed altri utilizzati come additivi: stabilizzanti, addensanti, emulsificanti, conservanti ed antiossidanti. Amidi modificati, destrine, maltodestrine, ciclodestrine, fruttosio cristallino, polioli, glutammato monosodico, colorante al caramello, gomma xantano, lecitina, mono e digliceridi degli acidi grassi, etc ... sono tutti derivabili dalla lavorazione del mais. Ed ecco quindi che il nostro mais si nasconde all'incirca nella metà dei prodotti che trovate sugli scaffali del vostro supermercato: bevande zuccherate, yogurt, piatti pronti, barrette, cornflakes, salse, sughi, senza scomodare biscotti e dolci di tutti, ma proprio tutti i generi e forme. In ogni sorta di prodotto quindi ed analogo discorso potremmo farlo per la soia.E questo è uno sbocco, ma non è ancora quello principale, che appunto è rappresentato da:2) I mangimi per gli allevamenti intensivi, che sfamano non solo polli e maiali ma anche bovini e pesci, costringendoli ad una dieta del tutto innaturale ed assai lontana da quella che sarebbe la loro alimentazione normale (vedi FNS N°7 Parte 2 - NdR). Ed ecco perciò che il nostro mais e la nostra soia si nascondono nella bistecca, nel pollo, nel prosciutto, nel filetto di salmone (allevato), nella costoletta di maiale, nell'uovo, nel latte, nel formaggio, etc. etc.Ma qui si pone un altro problema di sostenibilità, perché separando agricoltura ed allevamento si rompe quello che di per se costituiva un ciclo chiuso a minimo impatto ambientale:Il Sole fa crescere l'erba, gli erbivori mangiano un po' di erba e poi si spostano da un'altra parte, ai bovini segue il pollame che ha un'attività sanificante perché si mangia gli insetti e le larve che sono eccellenti fonti proteiche e così facendo eliminano il bisogno di pesticidi. Le deiezioni di entrambi fertilizzano il terreno, ma non solo quelle, un suolo è molto più fertile se ci sono erbivori perché quando mangiano l'erba, accorciandola, si libera nel sottosuolo di una equivalente porzione di radice (non ne serve più così tanta per sostenere la parte aerea) che va a batteri, funghi e vermi, creando fertile humus. Quindi poi l'erba ricresce e tutto il ciclo si chiude ma nel frattempo abbiamo prodotto carne, latte e uova dall'ottimo profilo nutrizionale e senza l'uso di fitofarmaci e senza consumare risorse, ne inquinare l'ambiente. Invece separando agricoltura ed allevamento si rompe questo ciclo perfetto (ma perché perfezionato in qualcosa come qualche milione di anni) e si creano 2 problemi, uno di qua ed uno di la, per cui da entrambi i lati. Da un lato nell'allevamento intensivo servono input di cibo per gli animali, che devono venire da monocolture, e servono farmaci necessari per aiutarli a reggere una condizione di vita innaturale. Mentre le deiezioni sono talmente tante, tossiche e concentrate in poco spazio che non sono più una risorsa, ma un grave problema ambientale. Difatti nei dintorni dell'allevamento intensivo creano quasi sempre problemi di contaminazione, di fiumi, di laghi, di falde acquifere o altro ancora. Dall'altro lato nella monocoltura intensiva, il suolo e il Sole sono insufficienti per sostenere la crescita e non ci sono le deiezioni ne l'attività sanificante della bio-diversità e degli animali per cui servono dosi massicce di fertilizzanti e pesticidi. Ma l'uso di fertilizzanti a lungo andare il suolo lo impoverisce, perché apportano si, azoto, fosforo e potassio che fanno crescere le piante in fretta, ma nulla di più. Mai e poi mai quella ricchezza di sostanze organiche ed inorganiche di un suolo vivo dove passano gli animali, vivono gli insetti, si decompongono le radici (e gli organismi viventi in generale), etc. Quindi questi vegetali che crescono in suoli già di loro impoveriti di minerali dall'uso di fertilizzanti e pesticidi, per di più crescono talmente in fretta che hanno anche meno tempo di accumulare micronutrienti oltre alle calorie. E siccome non devono far fatica a procurarsi i nutrienti in questi suoli super fertilizzati, sviluppano anche radici più piccole che vanno meno in profondità nel suolo dove potrebbero attingere a più minerali. Ed il risultato combinato di tutti questi fattori porta ad un inevitabile scadimento del loro profilo nutrizionale. A questo si aggiunge poi la selezione genetica operata dall'uomo stesso, che da sempre opera nella direzione della "resa". Ma quando io seleziono per una caratteristica, questa va poi a scapito di altre. Per cui io seleziono e risemino solo le mele più grosse e che crescono più in fretta, ignorando però che così sto selezionando quelle più povere di nutrienti. Cioè avrò grosse rese in termini di calorie ma con alimenti con una densità nutrizionale sempre più scarsa, ovvero con meno minerali e vitamine a parità di calorie. E questa ricaduta in termini nutrizionali dei moderni sistemi di agricoltura sugli alimenti vegetali è innegabile e sono cose che sappiamo già da tempo. Già negli anni 80, due scienziati inglesi che si erano preoccupati di fare un confronto tra il contenuto di minerali in 20 frutti e 20 ortaggi sul database nazionale britannico, avevano segnalato che rispetto ai valori degli anni '30, vi era stata una perdita sostanziale nel contenuto di 7 sali minerali, in tutti i prodotti analizzati. Un'altra analisi britannica confrontando dati del 1940 con quelli del 1991, aveva rilevato, ad esempio, che per gli spinaci il contenuto medio di potassio era -53%, di ferro -60% e di rame addirittura -96% (!) Per il ferro soprattutto c'è un declino addirittura trasversale, anche nel regno animale. Il suo contenuto nella carne è diminuito in media del 54%, considerando sempre il periodo di tempo di questa stessa analisi. Così come nel regno vegetale, ad es. per avere lo stesso contenuto di ferro che si aveva mangiando una mela nel 1940, già nel 1991 se ne sarebbero dovute mangiare 3. Figuriamoci oggi dopo altri 25 anni, considerando che il trend è ben lontano dall'essere stato invertito o rallentato!Potrei continuare snocciolando altri numeri di altre analisi, ricerche e studi ma, a parte un indubbio aumento della frustrazione sia mia che di chi mi legge, tutte le altre percentuali avrebbero l'inesorabile segno meno davanti alla percentuale, quasi sempre un numero a 2 cifre. Al di la di possibili errori di rilevazioni fatti in anni diversi, con strumenti diversi ed in laboratori diversi, la mole dei dati è tanta e tale che non c'è dubbio su quale sia la tendenza. I dati ci dicono chiaramente che il valore nutrizionale di tutti i prodotti vegetali, così come tutti quelli animali, nell'arco dell'ultimo secolo sta inesorabilmente e drammaticamente declinando. In particolare è colpito il contenuto di vitamine e minerali, cioè di micronutrienti, ma anche quello proteico e la qualità del profilo lipidico. Non è un caso infatti che io suggerisca a molte delle persone che si rivolgono a me, una "supplementazione di base" proprio di questi ultimi micronutrienti.I dati invece su fitocomposti extra nutrizionali come polifenoli, carotenoidi, etc. sono meno abbondanti perché una volta non si misuravano, ma quelli che abbiamo ci suggeriscono sostanzialmente la stessa cosa. Del resto non c'è nulla di sorprendente per le ragioni che spiegavo tempo fa, nella Prima Parte del FNS n°7. Ovvero, più la pianta è "coccolata", protetta, dagli insetti, dal freddo etc., vale a dire da quegli stress che gli stimolano la risposta adattativa, e meno è stimolata a produrre queste molecole di difesa, che sono per noi così importanti e protettive per la prevenzione delle malattie. CONCLUSIONI: Beh, io direi che le conclusioni, le somme, il responso finale, lo vedremo nella prossima ed ultima parte, la Quarta appunto. Vedremo come possiamo uscire da questa situazione PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ed inoltre vi darò alcuni consigli di lettura ma anche alcuni suggerimenti pratici e concreti da implementare subito...Sempre se avrete la bontà di seguirmi.

FOOD NEWS SPECIALE N°7 - LA QUALITÀ ALIMENTARE - Parte 2: "I sistemi di allevamento ed il cibo animale"

Dopo aver fatto, circa un mese fa, tutte le considerazioni generali sulla qualità alimentare nel precedente FNS - Parte 1, entriamo nello specifico affrontando il primo macro argomento, ovvero i sistemi di allevamento. Iniziamo il nostro viaggio partendo dal concetto di "biologico" che ci è tanto caro ma che però è anche fonte di parecchi dubbi, perplessità e soprattutto tanta tanta ignoranza (disinformazione) da parte dei più. In Europa il marchio "BIO" è regolamentato da una precisa legislazione (il regolamento CE 834/07 per chi avesse voglia e tempo di approfondire) che, nel caso delle produzioni animali, fa delle affermazioni di carattere generale sul benessere degli animali stessi e sull'impatto ambientale. Ma queste sono talmente vaghe che di fatto anche un allevamento intensivo, dove gli animali trascorrono la più grama delle esistenze, può rispondere a quei requisiti. E quindi di fatto l'unico requisito veramente stringente per poter dire che una carne, piuttosto che un uovo, un latte o un latticino, sia BIO è che quell'animale sia stato nutrito con mangimi BIO...Quindi, va da se che il marchio BIO su un alimento di origine animale ci dice solo che questi animali hanno mangiato (forse) alimenti biologici, NON CERTO CHE SIANO STATI NUTRITI CON UNA DIETA ADATTA ALLE LORO ESIGENZE! Per cui io posso benissimo prendere la mia vacca, metterla in un metro quadro (scarso) per quasi tutta la vita, nutrirla a cereale, invece che erba con la sola differenza che sul nastro dove le arriva il pastone, negli ingredienti non ci sono residui di pesticidi, e quella bistecca la potrò chiamare BIO... Ma è veramente una magra consolazione, sia per la vacca che per me quando me la mangio. Quindi molto più importante che se sia BIO o "NON BIO", sarebbe sapere come ha vissuto e cosa ha mangiato quell'animale nel corso della sua esistenza. Non solo per ragioni etiche di benessere dell'animale ma anche perché questo si ripercuote direttamente e significativamente sulla qualità e sul profilo nutrizionale di quel cibo e quindi della nostra salute. La mucca si è evoluta insieme all'uomo nel corso della storia per mangiare erba d'estate e fieno d'inverno e pochissime o zero granaglie e di certo zero alimenti animali perché è un animale erbivoro (o almeno lo era...fino a quando noi abbiamo arbitrariamente deciso di cambiare la natura delle cose). Al contrario gli allevamenti intensivi all'americana prevedono una dieta a base prevalente di cereali perché sono lo sbocco naturale della sovrapproduzione di mais e soia prodotte con mono culture e sussidi. Tra l'altro con grave danno per l'ambiente, con la perdita della bio-diversità e con l'uso di energia fossile per fare fertilizzanti e pesticidi. Ma oltre al danno c'è la beffa, perché tale dieta è profondamente innaturale e porta a tutta una serie di problemi per gli animali stessi. Certo, è energeticamente molto concentrata per cui l'animale cresce molto più in fretta. Un bovino che mangia cereali aumenta di peso nella metà del tempo di uno alimentato ad erba. Quindi lo posso macellare a 15 mesi di vita anziché circa 30, tirandoci fuori la stessa quantità di carne. Ma voi capite che se io prendo un bovino abituato a pascolare nei prati e mangiare erba, lo metto in uno stanzone chiuso dove non ha neppure lo spazio per voltarsi su se stesso e gli faccio mangiare un pastone di cereali, che poi per renderlo bilanciato va mescolato al grasso liquido (che di solito viene dagli scarti di macellazione di altri animali), ad integratori vitaminico-minerali e supplementi proteici, che possono essere urea di sintesi o sfarinati fatti da scarti della lavorazione del pesce, del maiale o del pollame, incluso piume e lettiera o sangue (e peraltro fino a prima dell'allarme "mucca pazza" si potevano dare anche scarti della lavorazione dei bovini stessi, quindi si trattavano animali erbivori, da carnivori ma persino da cannibali...che poi di fatto lo sono ancora oggi perché di fatto il grasso ed il sangue dei bovini sono ancora ammessi nella dieta dei bovini stessi...). Se quindi, dicevamo, gli faccio fare questa dieta profondamente innaturale, gli creo enormi problemi digestivi, a partire da gonfiore ed acidità. Tanto che gli si da d'ufficio, di routine, insieme al mangime stesso anche una serie di farmaci per la digestione e stabilizzanti della flora intestinale. E nonostante questo il loro intestino si infiamma, diventa permeabile ai microbi (la stessa nostra "sindrome dell'intestino sgocciolante" o "Leaky Gut Syndrome") e quindi porta infezioni di ogni tipo. Voi capite che già trovandoci in una situazione penosa dal punto di vista del benessere animale perché i poverini vivono in condizioni talmente innaturali, al chiuso, senza quasi potersi muovere, mangiando cose che non sono adatte dal punto di vista evolutivo, che sono già di per se stressati e suscettibili alle malattie per cui è evidente che le loro difese immunitarie in una situazione del genere sono estremamente indebolite, e a questo ci aggiungete che vivono talmente ravvicinati che i patogeni possono saltellare allegramente da uno all'altro e quindi diffondersi in un batter di ciglia, le infezioni sono una cosa pressoché scontata, all'ordine del giorno. Per cui alla fine l'unica soluzione è andar giù di antibiotici, tanto che se non esistessero questi ultimi non potrebbero esistere gli allevamenti intensivi. Perché è vero che in Europa per legge questi ultimi si possono dare agli animali di allevamento solo se ammalano, ma il problema è ...che si ammalano SEMPRE, proprio a causa della dieta e delle condizioni innaturali in cui sono costretti a vivere! Quindi poi alla fine la distinzione tra dare i farmaci "a pioggia" per stimolare la crescita o a scopo preventivo, oppure darli solo quando servono, è molto bella sulla carta ma nella realtà dei fatti è molto sfumata. Perché è il sistema stesso dell'allevamento intensivo che fa ammalare questi animali. Prova ne sia che in Italia, badate...IN ITALIA (e non negli USA ritenuti i "brutti e cattivi" per eccellenza...), noi già da soli, ci dice il rapporto 2015 della EMA (European Medicines Agency) che più del 70% degli antibiotici venduti in Italia sono utilizzati per gli animali d'allevamento. E fra l'altro siamo quelli che in Europa, insieme a Germania e Spagna, ne usiamo di più. Ne usiamo - ad es. - il doppio della Francia ed il triplo del Regno Unito. Per fortuna queste povere bestie (è proprio il caso di dirlo), crescono talmente in fretta - grazie ai farmaci e alla dieta densissima di calorie - che raggiungono il peso di macellazione già dopo poco più di un anno. Per cui non fanno in tempo ad esacerbare tutte le patologie indotte dal sistema dell' allevamento intensivo, in quanto vengono macellati ancora giovanissimi. Ma, sinceramente, in quelle condizioni dubito fortemente che arriverebbero comunque all'età adulta.Quindi, prima di arrivare al discorso nutrizionale, vorrei riassumere quanto sopra per avere un quadro sintetico completo della situazione "allevamenti intensivi":1) Il benessere animale: perché questi animali vivono una vita più breve ed in condizioni del tutto innaturali e stressanti;2) L'uso massiccio di farmaci e antibiotici che è l'inevitabile conseguenza del punto 1);3) Il fatto che questi allevamenti con animali malaticci e tutti ravvicinati tra di loro, sono pericolosi incubatori di nuovi ceppi batterici e dello sviluppo di nuovi ceppi resistenti agli attuali antibiotici. E questo - ATTENZIONE - è un problema di cui parliamo troppo poco ma che è di estrema attualità e gravità, dato che nel prossimo futuro sarà sempre più un problema di salute pubblica, perché negli ultimi anni sono sempre più frequenti i casi di infezioni batteriche che non guariscono più con gli antibiotici;4) L'enorme consumo di risorse, principalmente combustibili fossili, per produrre fertilizzanti e pesticidi che servono per coltivare i cereali con i quali vengono alimentati questi animali, cereali che ...ci potremmo mangiare direttamente noi! Eh già, perché in tal maniera si crea una sorta di competizione per le risorse alimentari del tutto illogica e paradossale che non dovrebbe esistere: quando facciamo il famoso discorso che per una porzione di bistecca bisogna usare l'equivalante di dieci porzioni di grano, che potrebbero nutrire direttamente noi - non vi sembra un enorme "spreco" ? Ed in realtà è vero... dov'è scritto che la mucca deve mangiare il grano, non le piace neppure, lei vorrebbe mangiare l'erba! ...che a noi non serve, non ce la mangiamo e cresce usando l'energia del Sole non come il mais cresciuto con i fertilizzant . Quindi se è una mucca che pascola, il suo costo è quasi zero, usa l'energia del Sole e non ci ruba niente, anzi ci aiuta a tenere il suolo fertile.5) L'impatto ambientale enorme. In primo luogo per il consumo di terreno, non per l'allevamento in se che é piccolo, ma per produrre il cibo per nutrire questi animali. Tenete presente che il 90% della soia a livello mondiale va agli animali d'allevamento (invito, chi avesse voglia di approfondire quest'ultimo argomento, a leggere "Il dilemma dell'onnivoro" di Michael Pollan). In secondo luogo per l'enorme produzione di letame in concentrazioni talmente elevate e tossiche (e concentrate in pco spazio) che sono un problema ambientale e non più una risorsa. Di certo non può essere utilizzato come fertilizzante, anzi nei d'intorni dell'allevamento intensivo crea sempre più problemi di contaminazione di fiumi, di laghi e di false acquisfere, con grave degrado del territorio.Ma allora uno potrebbe dire, va bene, tutto vero, però è grazie a questo sistema di allevamento intensivo che noi oggi siamo capaci di produrre enormi quantità di carne a bassissimo prezzo e quindi è stato possibile "democratizzarne" il consumo, nel senso che tutti oggi se la possono permettere. Per cui è vero, c'è un alto prezzo da pagare in termini di risorse di ambiente e di benessere animale ma a fronte di un vantaggio per la popolazione. Allora, per quanto obiettivamente discutibile potremmo anche comprendere questa argomentazione... SE NON FOSSE PER IL FATTO CHE, l'allevamento intensivo così come è oggi porta, è vero, grandi quantità di carne a bassissimo prezzo MA CON UN ENORME SCADIMENTO QUALITATIVO E DEL VALORE NUTRIZIONALE DEL PRODOTTO, che ha portato negli ultimi decenni a gravi conseguenze per la salute dei consumatori. Perché di carne bisognerebbe mangiarne poca e buona, invece noi oggi per colpa di questo sistema "perverso", ne mangiamo troppa (che già è una cosa che non va bene) e per di più di qualità scarsissima. Quindi eccoci arrivati finalmente al punto:6) Scadimento della qualità e del valore nutrizionale del prodotto. Spieghiamo ora dettagliatamente il perché:In primo luogo la differenza che un animale che non si muove e che ha una dieta energeticamente densissima per crescere nella metà o in terzo del tempo, cresce - è vero - ma più che altro ingrassa di più. E quindi la prima differenza è che gli animali di allevamento intensivo hanno molti più grassi totali (e per di più sono quasi esclusivamente grassi saturi). Questo vale per il pollo, come per il maiale, come per il bovino, come per ....noi esseri umani (tanto più si è sedentari). Ma uno dice, vabbé ...ma io il grasso lo tolgo...E no caro mio! Il grasso non è solo quello visibile, ovvero quello che possiamo nettamente distinguere ed al limite eliminare con il coltello, ma è anche quello che è dentro le cellule muscolari, quindi dentro la parte rossa della bistecca. Per farlo visualizzare meglio alle persone che seguo, uso fare sempre l'esempio della mortadella in sezione, riferendomi ai puntini bianchi all'interno della parte rosa, per intenderci. E questo grasso di cui si parla, se vogliamo quantificarlo in proporzione, è molto di più in una bistecca di allevamento che non in una di bovino al pascolo, fino anche il 25, il 50% in più, non certo bazzecole se poi andiamo a contare le calorie (1gr di grasso = 9 kcal).Ma non è solo la quantità totale, quello che è ben più grave è il tipo di questo grasso. Perché un animale che ha una dieta a base di cereali, come ad es. il mais, ha molti più grassi saturi e tra quelli polinsaturi ha molti più grassi della famiglia degli Omega 6 rispetto agli Omega 3. E noi sappiamo che uno dei problemi più importanti della nostra "dieta moderna" è proprio l'enorme squilibrio tra Omega 6 e Omega 3, perché per proteggerci da infiammazioni e rischio di malattie cardiovascolari, neurologiche etc, dovrebbe essere idealmente metà e metà, ancora accettabile un rapporto 4 (Omega 6) a 1 (Omega 3). Ma nella dieta moderna ben sappiamo che normalmente registriamo valori medi ben superiori di 12/20 a 1. Ora, l'animale che mangia erba, da quell'erba recupera molti più Omega 3 come grasso alfa linolenico, quello che mangia cereali, più o meno nulla. E questo si riflette poi nella sua carne, nel suo latte e nelle sue uova. Ma non finisce qui, perché l'erba fornisce agli animali non solo Omega 3 ma anche Betacarotene che è il precursore della vitamina A, poi la vitamina E ed inoltre anche l'acido folico. Tutti micronutrienti che poi ovviamente si ritroveranno nella sua carne, nel suo latte ed eventualmente nelle sue uova. Le galline che razzolano libere (ormai quasi una rarità), andando a beccare insetti, larve e vermetti, hanno anche delle uova molto migliori dal punto di vista del profilo proteico. E per finire a causa delle condizioni stressanti ed innaturali dell'allevamento intensivo, come dicevamo sopra, questi animali sono anche immunodepressi e quindi molto esposti alle malattie, che poi richiedono l'uso di farmaci ed antibiotici, i cui residui e metaboliti ce li ritroviamo poi nel prodotto finito. Se poi si usano addirittura ormoni per stimolare la crescita, idem. Negli USA alcuni sono legali, qui da noi no, ma ci sono degli escamotage per usarli lo stesso.Ci sono moltissimi dati pubblicati in letteratura scientifica (fonte: https://www.compassioninfoodbusiness.com/.../Nutritional...), circa le profonde differenze tra animali da pascolo e quelli da allevamento intensivo, prendendo in considerazione "solamente" gli ultimi 10 anni. Le differenze sono... "imbarazzanti", sembrerebbero quasi specie animali diverse...In fondo anche tra noi umani è diffuso il modo di dire "siamo quello che mangiamo", ecco, immaginiamoci per quelle povere bestie come la differenza può essere amplificata a dismisura. Si notano sopratutto grandissime differenze su: grasso intramuscolare (quindi quello non visibile), +30/40% a seconda delle specie, Omega 3, -200/400% a seconda delle specie, vitamina E, -34/161% a seconda delle specie, Betacarotene, addirittura da 3 a 7 volte in meno(!). E via via potremo andare avanti ad oltranza e - soprattutto - c'è da dire che ovviamente lo stesso discorso vale per il latte, i latticini e le uova.CONCLUSIONITiriamo, alla fine di questa Seconda Parte, le nostre conclusioni. Quindi: Il punto qual'è ? Il sistema dell'allevamento intensivo, insieme ai vari danni che fa dal punto di vista del benessere animale ed ambientale, comporta uno scadimento nutrizionale a livello qualitativo delle carni (di qualsiasi tipo), dei latti (e latticini) e delle uova. Punta tutto sulla quantità e sul prezzo, ma questo va a scapito soprattutto della nostra salute. Come possiamo uscirne allora ? Cosa possiamo fare nel nostro piccolo come consumatori, sin da subito ? Di sicuro stare molto attenti nell'acquisto e scegliere aziende agricole (ce ne sono!) che conosciamo e che magari non sono molto lontane da noi, basta solo uscire dalle grandi città, ad esempio. Chi abita in provincia come me, è già di per se facilitato in questo, però con un minimo di impegno, magari ricorrendo all'ausilio del web (ma consiglio di andare a vedere di persona, almeno la prima volta, di che aziende si tratta), non è assolutamente difficile capire di quale fidarci. Poi, una volta scelto...tenersele bene strette (e magari ogni tanto andare a controllare che la situazione sia sempre la medesima, almeno non peggiorata...non si sa mai). Il resto lo vedremo presto in dettaglio perché comunque il nostro percorso non finisce qui, nella Terza Parte parleremo del sistema delle produzioni vegetali e delle monoculture. Sempre se avrete la bontà di seguirmi.

FOOD NEWS SPECIALE N°7 - LA QUALITÀ ALIMENTARE - Parte 1: "L'inizio della fine"

Nei prossimi Food News Speciali voglio fare un po' di chiarezza su un argomento di fondamentale importanza. Parleremo dell'evoluzione e (purtroppo) del declino del sistema agroalimentare mondiale nel corso dell'ultimo secolo. Ovvero, quando qualcosa ci è "sfuggito dalle mani" e in un battibaleno ci siamo trovati a puntare tutto su quantità e su prezzo. Cioè produrre il massimo possibile al prezzo più basso possibile, ignorando completamente gli effetti disastrosi che questo avrebbe potuto causare sulla qualità e sul profilo nutrizionale dei nostri alimenti, e quindi in definitiva sulla nostra salute. Possiamo fare subito un esempio pratico, tanto per fissare bene questo concetto basilare appena accennato, per poi continuare con un più ampio raggio sull'argomento generale. Si tratta di un articolo pubblicato nel 2007 da una famosissima rivista scientifica anglosassone, nel quale alcuni ricercatori inglesi hanno voluto confrontare i valori nutrizionali di un pollo "moderno" confrontandolo con quelli dei decenni passati. E sono stati particolarmente fortunati perché sono riusciti a trovare dati statistici scientificamente documentati e comparabili fino al lontano 1870, per cui uno studio serio in quanto su una vastissima scala temporale. Per farla breve, da quegli studi il pollo dei giorni nostri emerge essere, nutrizionalmente parlando, un parente lontanissimo del suo predecessore quasi fosse un'altra specie. Il contenuto proteico dal 21% è passato all'attuale 15% e quello dei grassi da quasi il 4% a oltre il 23% (come ognuno di noi ingrasserebbe a dismisura se non si muovesse affatto). Di questi ultimi, ovverosia del profilo lipidico, dal 1970 abbiamo anche informazioni sul contenuto in Omega 3 e in Omega 6: il primo ha registrato la diminuzione di ben 90 punti percentuali(!), il secondo è pressoché raddoppiato, portando il rapporto tra i due (che ricordo dovrebbe essere idealmente almeno di 1:4 , affinché le nostre membrane cellulari possano essere efficienti) a 1:240! Ed infine le kcal/100 gr sono automaticamente passate dalle 118 kcal di fine 800, alle 273 kcal attuali. Un aumento di ben oltre il doppio e c'è da giurarci che questi 3 trend visti prima non sono andati affatto ad invertirsi dal 2007 ad oggi e ne lo saranno in futuro... sempre ammesso che non facciamo qualcosa nel frattempo, un qualcosa di realmente drastico, però! Questo del pollo non è che un esempio dei tanti che si potrebbero fare per descrivere un trend - ahimè - generalissimo che riguarda il progressivo e inesorabile scadimento del profilo nutrizionale dei cibi a cui abbiamo assistito nel corso dell'ultimo secolo, dovuto alla combinazione di 3 fattori:- IN CAMPO VEGETALE l'utilizzo massiccio di fertilizzanti e pesticidi che impoveriscono il suolo, perché il fertilizzante naturale fornisce azoto quindi la pianta cresce molto rapidamente, ma c'è una differenza abissale con un suolo naturalmente fertile in cui la pianta trova altri nutrienti e minerali. Ed in secondo luogo se è troppo "coccolata", protetta da sbalzi climatici, da insetti etc. non deve produrre quei fitocomposti, polifenoli etc. che per lei sono di difesa, ma per noi, quando ce li mangiamo, sono super-protettivi dal punto di vista della prevenzione delle malattie.- IN CAMPO ANIMALE la diffusione degli allevamenti intensivi (carne e pesce, indistintamente), che ha portato uno scadimento drammatico del valore nutrizionale dei prodotti - e anche molto peggio - per tutta una serie di ragioni che avremo modo di analizzare più diffusamente nel prossimo FNS (Parte 2).- IN CAMPO DISTRIBUTIVO l'industrializzazione della catena alimentare, con la diffusione massiccia di alimenti lavorati e conservati dall'industria alimentare basati su metodi di trasformazione e conservazione che comportano perdite o alterazioni di nutrienti o extra-nutrienti rispetto ai prodotti freschi di partenza.L'equivoco di fondo è stato immaginare che se un pomodoro ha l'aspetto di un pomodoro, un uovo ha l'aspetto di un uovo e il latte ha l'aspetto del latte, vale tanto quanto qualsiasi altro pomodoro, uovo o latte. E purtroppo così non è. Per esempio, rispetto agli inizi del secolo scorso, la quantità di latte prodotta da una vacca è più che quadruplicata. Una vacca da latte è selezionata e spinta a fare talmente tanto latte che è già esausta entro i 5 anni laddove, naturalmente, potrebbe arrivare tranquillamente anche a 15. Non ci vuole un genio per capire che qualcosa va perso. Il latte sarà sempre un liquido bianco, ma il suo profilo nutrizionale non sarà più neanche lontanamente lo stesso: sarà molto più acquoso, più grasso e più povero di proteine e di vitamine e minerali. E teniamo ben presente che qualsiasi tipo di "chimica" introduciamo nel mangime di queste povere bestie - di per se già innaturale - antibiotici e medicinali vari, compresi, prima ancora che andare nelle loro carni (per fortuna nostra prevalentemente nei grassi più che nei muscoli) va dritto dritto nel loro latte.Agli inizi del secolo scorso un pollo ci metteva mediamente 16 settimane per raggiungere il peso di 1 kg e mezzo, oggi ci mette appena un terzo di quel tempo e viene macellato quando non ha ancora raggiunto nemmeno la pubertà. Un pollo in allevamento intensivo può essere pronto - e anzi "over-size" - in meno di 6 settimane. Una gallina deponeva in media 90 uova l'anno negli anni 30, oggi ne produce facilmente almeno 250. Un bovino nutrito a cereali aumenta di peso in metà del tempo rispetto ad uno nutrito naturalmente, cioè come madre natura l'aveva "progettato": ad erba. E quindi è già pronto per la macellazione in poco più di un 1 anziché 2 anni e mezzo. Non parliamo delle produzioni vegetali! Le rese dei raccolti di cereali, legumi, frutta e verdura sono aumentate esponenzialmente nel corso dell'ultimo secolo. Ma siamo sempre lì...cereali e legumi è molto ben noto e documentato che, maggiore è la resa, minore è il contenuto di proteine a favore dell'amido. Cioè ne produco tanti ed in fretta ma è tutto zuccheri, mentre proteine, vitamine e minerali sono enormemente di meno. Il pomodoro: se potessi prendere un pomodoro del 1970 ed uno di oggi, non vedrei ad occhio nudo grosse differenze (anzi, probabilmente quello di oggi sarebbe pure un po' più grosso ed un po' più bello a vedersi), se lo assaggio però, e sono abbastanza "anziano" da avere memoria del sapore che aveva il pomodoro del 1970, mi rendo subito conto che quello di oggi ha un sapore molto più..."diluito", diciamo così. Ma quando dico: "Ah, il pomodoro di oggi non sa' più di niente", quello non è solo un problema "edonistico", nel senso "è meno buono", ma riflette un gravissimo problema nutrizionale. Perché vuol dire che quel pomodoro, che non sa di nulla, è estremamente impoverito di minerali vitamine e fitocomposti, che erano appunto quelli che gli davano, tra le altre cose, anche il suo sapore. E quindi vuol dire che non solo è meno buono ma anche che, per avere la stessa quantità di vitamina C o di licopene che cinquant'anni fa ottenevo mangiando un pomodoro, oggi me ne devo mangiare forse 2, forse 3. Questa constatazione ha portato alcuni ad elaborare la teoria, interessante - ma sia chiaro che ad oggi è ancora solo una teoria, teoria secondo cui la causa del dilagare di sovrappeso ed obesità ed il continuo aumento delle porzioni che noi abbiamo osservato nell'ultimo secolo sia dovuto proprio allo scadimento complessivo ed inesorabile della QUALITÀ ALIMENTARE. L'idea alla base di questa ipotesi è che noi tendiamo a diventare obesi perché abbiamo costantemente fame, ed abbiamo costantemente fame perché il nostro organismo non trova i nutrienti di cui ha bisogno nel cibo che mangiamo. E quindi magari ci manca il nutriente X o Y che non sappiamo neppure cos'è, ma il nostro organismo invece lo sa eccome, e continua a mantenere lo stimolo della fame nella speranza di acchiapparlo da qualche parte. Per dirla in modo più scientifico stiamo assistendo ad un abbassamento della densità nutrizionale dei cibi. Concetto, quest'ultimo, che non va confuso con quello della densità calorica. Densità calorica significa quante calorie mi da un alimento a parità di peso Densità nutrizionale invece significa quanti nutrienti mi da un alimento a parità di calorie. Ad esempio per 100 kcal di latte mi arrivano più di 5 gr di proteine, circa 8,5 di zuccheri, poi vitamina A, D, B1, B2, B3, B12 e nell'ordine, Calcio, Zinco e Selenio, invece per 100 kcal di Coca Cola mi arrivano 30 gr di zucchero e zero di tutti gli altri macro e micronutrienti, praticamente acqua zuccherata. Quindi il latte è nutrizionalmente più denso della Coca Cola. Ebbene, nell'ultimo secolo la densità nutrizionale di quasi tutti gli alimenti è calata. Per cui se per 100 kcal di mela, cent'anni fa mi arrivavano tot grammi di vitamina C, o ad es di Ferro, oggi mi arrivano sempre le stesse kcal ma un decimo di C ed un terzo del Ferro. E quindi sono calorie sempre più vuote perché associate a meno nutrienti, soprattutto micronutrienti, cioè vitamine, minerali e componenti extra-nutrizionali. E poi al di la di queste ipotesi legate al problema della densità nutrizionale, ce ne sono altre legate all'impatto che l'industrializzazione della catena alimentare ha avuto sul nostro stato di salute. Anche qui, sia chiaro, siamo sempre nel regno delle ipotesi, ma quando noi vediamo epidemiologicamente che il consumo abbondante di carni conservate è associata a tumori e malattie cardiovascolari, qualcuno si chiede, ma sarà colpa della carne o del modo in cui è prodotta ? Se invece di mangiare bistecche di bovini stressati, cresciuti in allevamento intensivo a suon di diete innaturali e di farmaci mangiassimo carni di bovini che pascolano nei prati mangiando erba, osserveremo ancora la stessa associazione ? Forse. Stiamo solo constatando che è la carne di allevamento intensivo di animali nutriti a granaglie e...(?), invece che erba, che ci fa male. Forse se facessimo un analogo consumo di carne di bovini che pascolano normalmente non vedremmo le stesse associazioni perché il profilo nutrizionale della loro carne sarebbe diverso...BOH!, chi può dirlo, forse è così. Anche se la mia opinione è che comunque la situazione migliorerebbe, anche di molto, ma mai più - sempre secondo me - si potrà arrivare alla qualità di cento anni fa semplicemente perché l'acqua, l'aria e soprattutto l'erba, per i motivi visti sopra, non sono di sicuro più quelli del passato. Anche sul latte ci sono alcuni segnali di allarme epidemiologico. Qualcuno dice, che è il latte stesso, o che sono le caseine che sono pro-infiammatorie etc. mentre qualcun altro dice, non è il latte, è il latte di questi bovini qui, d'allevamento intensivo, che sono sempre malaticci per cui c'è dentro il pus, residui di farmaci, un profilo nutrizionale alterato etc. Se fosse il latte del mio trisnonno che aveva la mucca in cortile sarebbe tutta un'altra cosa. Ovviamente, se anche qui volete la mia opinione, leggete poche righe qui sopra che tanto è sempre la medesima. I dati ci dicono che 1 persona su 3 si ammala di cancro e ci dicono anche, quando li confrontiamo con i dati del passato, che questa incidenza è maggiore di quella spiegata dal semplice fatto che la durata della vita si è allungata o che siamo diventati più bravi a fare le diagnosi. Ci sono fattori ambientali che non c'erano prima che stanno causando più tumori, questo oramai - ahimè - è un dato di fatto che prima consideriamo seriamente nell'equazione generale e prima potremmo mettere in campo le dovute azioni correttive (ne parleremo nell'ultima puntata). Quanta parte di tale responsabilità è da attribuire all'uso diffuso di pesticidi e fertilizzanti in agricoltura e alle pratiche di allevamento intensivo ? La risposta a tutte queste domande (oggi) è - di nuovo...BOH! E quindi siamo in un campo in cui contano più le domande che le risposte. Se non altro per stimolare il dibattito, la ricerca e comunque la consapevolezza che molto è cambiato. Ora, non fraintendetemi, nessun dice che bisogna tornare al sistema agroalimentare dei nostri bisnonni - non stiamo qui a raccontarci favole irrealistiche, sappiamo che è pressoché impossibile - nessuno quindi dice che bisogna tornare indietro. Ma bisogna andare avanti, nella maniera giusta però, quello si. Quindi adesso che siamo diventati formidabili nell'obiettivo della quantità nei sistemi di produzione agroalimentari, è arrivato il momento di prestare più attenzione alla qualità ed al profilo nutrizionale che risulta dalle varie pratiche di agricoltura ed allevamento. Insieme ovviamente alla sostenibilità, all'impatto ambientale e al benessere degli animali. Ma come siamo arrivati a questo punto e come possiamo uscirne ? Seguite le prossime puntate della QUALITÀ ALIMENTARE, a partire dalla prossima, dove analizzeremo a fondo il problema della qualità dei prodotti animali e la sua relazione con il sistema di allevamento. La soluzione c'è ? Certo, usando lungimiranza, la tecnologia nel giusto modo, ma ancor prima di tutto ciò, destinando alla ricerca in questo campo, più, molti più fondi di quelli attuali. Quando capiremo che questo è il pianeta che abbiamo, e su questo pianeta dobbiamo restare, almeno per i prossimi secoli, beh allora non potremo più accettare la drammatica verità che è sotto il naso di ognuno di noi. Ovvero che...l'essere vivente più evoluto della Terra è - contemporaneamente - anche il più malato... Assurdo ed illogico, non vi pare ?!?

FOOD NEWS SPECIALE N°6 - LO ZUCCHERO: Il nemico invisibile, il nemico più subdolo. Se lo conosci, lo eviti!

Se vi state apprestando a leggere questo nuovo Food News Speciale con l'immagine mentale della tipica zuccheriera colma del suo classico contenuto bianco di consistenza più o meno granulare, siete sulla strada sbagliata. Qui si parlerà certamente dei pericoli dello zucchero, ma IN TUTTE LE SUE FORME - o per meglio dire, i suoi travestimenti e le sue mistificazioni (che poi sarebbe il termine più corretto) - tra le quali quella appunto della zuccheriera di casa o della bustina da bar che dir si voglia, rappresentano solo la punta dell' iceberg. Le persone che si rivolgono a me lo sanno bene perché spesso una delle mie domande-trabocchetto iniziali infatti è proprio questa: "fai normalmente uso di zucchero" ? Ed anche quelle che rispondono - quasi infastidite - un "NO" convinto, quasi schifato, alla mia domanda, tipicamente alla fine dell'incontro se ne vanno con gli occhi increduli alla prova dei fatti che invece, conteggi alla mano, scoprono di assumerne, inconsapevolmente, diverse decine di grammi al giorno... quando va bene. E questo tutti i giorni, da diversi anni, senza soluzione di continuità.SCOVIAMO IL NUOVO NEMICO DEI NOSTRI TEMPIL'assuefazione al sapore dolce è un assuefazione dei nostri tempi moderni che si è creata da poco più di un secolo e che va affrontata in uno ed un solo modo, l'unico possibile e vincente: DIS-ASSUEFACENDOCI. Farlo, non è affatto difficile. Per cui il quesito non è chiedersi cosa uso al posto dello zucchero, ma semplicemente dirsi, dello zucchero vedo di farne a meno il più possibile. Il caffè, il the, gli infusi, le tisane, ci vuole nulla ad abituarsi a berli senza zucchero perché il nostro palato ha una straordinaria capacità di rieducarsi alle soglie del dolce e così come per il salato (Food News Speciale N°5), anche qui, generalmente, UN PAIO DI SETTIMANE sono più che sufficienti per risolvere il problema. Per cui io, il primo giorno, vado al bar bevo il mio caffè senza zucchero, lo sputo, dico che schifo questa roba qui non la bevo, il secondo giorno lo sputo ancora, il terzo faccio una smorfia, il quarto faccio ancora una smorfia, per una decina di giorni non mi godo il caffè, ma passate quelle due settimane mi sono completamente abituato e posso finalmente apprezzare - per la prima volta nella mia vita - il vero sapore del caffè invece che quello dello zucchero. E a quel punto se per caso mi offrono un caffè zuccherato dico, che schifo, cos'è questa pozione dolciastra! Quindi, problema risolto. Ugualmente se io sono abituato a mettere zucchero sulle fragole o sulla macedonia (ricordo quando ero ragazzo, che era tipico di mia mamma - e di tutti i miei parenti, in realtà), la devo smettere, perchè la frutta è già dolce di suo e devo assolutamente rieducare il palato a quello che è il vero sapore dei cibi. E' la stessa ragione per cui devo smettere di usare il sale (FNS n°5), perché è anche poi un'esperienza gastronomicamente molto più appagante quella di sentire veramente qual'è il sapore di una fragola o di una zuppa di cipolle o di funghi, anziché mangiare tutto che sa o di zucchero o di sale. Confucio usava dire: "Tutti mangiano ma pochi conoscono i sapori"...ed è sorprendentemente vero. Per cui, tornando al nostro "caro" zucchero, sono solo un paio di settimane di sacrificio e poi ci siamo levati il problema una volta per tutte. Detto questo c'è un'altra osservazione ancora più importante da fare perché mi rendo conto come moltissime persone non abbiano in testa questo concetto che è fondamentale. Lo zucchero che prendiamo dalla zuccheriera - come premettevo all'inizio - e che aggiungiamo a bevande, dolci, frutta, etc. lo riconosciamo come zucchero ma in realtà nella nostra dieta c'è un'altra fonte di zucchero assolutamente equivalente che altresì tendiamo a vedere molto meno (o per nulla) e che sono i cereali, tutti ma in particolar modo quelli raffinati. E cioè se io mangio pane, tutto ma in particolare bianco, pasta e riso, di tutti i tipi ma in particolare quelli raffinati e quindi non integrali, e qualunque cosa preparata con la farina, specie se bianca, raffinata, cioè non macinata insieme a tutte le altri parti del chicco (germe e crusca), sto mangiando zucchero, allo stesso modo che se lo stessi mangiando direttamente a cucchiaiate dalla zuccheriera. E se è in forma di amido, ovvero carboidrato complesso, cioè una lunga catena di glucosio, non fa nessuna differenza perché - specie se raffinato - è immediatamente accessibile al lavoro degli enzimi digestivi che lo scompongono subito nelle sue sub-unità di glucosio. Ed infatti se lo guardiamo dal punto di vista scientifico, cioè calcolando l'indice glicemico dei cereali raffinati, il pane bianco ha praticamente lo stesso I.G. di una soluzione di zucchero in acqua. Per cui io magari mi preoccupo del cucchiaino di zucchero che metto nel caffè (5 gr) e poi magari mi mangio mezza baguette bianca o una rosetta o un qualsiasi paio di fette di pane bianco, che DI CUCCHIAINI DI ZUCCHERO NE HANNO DENTRO CIRCA 20, e anche se mi fanno meno effetto, è come se stessi prendendo 20 cucchiaini di zucchero e li mettessi nel mio tè. Quindi quello che è cruciale, prima di andare a preoccuparmi dello zucchero che metto nel mio caffè, è che vengano fatti sparire dalla mia alimentazione, come se fossero velenosi, pane bianco, pasta bianca e farina bianca 0 e 00 (pare che presto l'industria metterà sul mercato anche la triplo-0), e che vengano rimpiazzati con pane integrale (vero!), pasta integrale (vera!) e prodotti da forno fatti esclusivamente con farina integrale. Perché si che a quel punto quei carboidrati, venendo assunti con la fibra, i grassi, i sali minerali, avrebbero un effetto completamente differente sulla mia glicemia. A quel punto sarei fuori pericolo ? Certo che no! Perchè comunque sono carboidrati e quindi vanno assunti in quantità necessaria al mio livello di attività fisica. E, credetemi, è credenza comune che ne servano tanti, specie per chi fa sport, e quel "tanti" è - nove volte su dieci - estremamente sopravvalutato. D'altronde, basta guardarsi intorno per capirlo, anche nell'ambito sportivo. Penso alle migliaia di persone incontrate nelle molte gare podistiche corse, anche perché è l'esempio che ho sotto gli occhi più spesso, senza parlare di tutte le palestre e centri sportivi che ho frequentato nella mia vita. Ancora oggi vi sono credenze astruse sul fabbisogno di carboidrati nello sport. Concetti assolutamente superati dai recenti studi nutrizionali di ultima generazione. E comunque non avendo un'idea precisa del reale consumo di zuccheri che si ha in attività aerobiche (ma anche anaerobiche, sebbene in minor parte), unito al fatto che lo zucchero nascosto è praticamente ovunque e spesso a "palate" (il più delle volte per mascherare la scarsa qualità dei cibi), è facile sballare i conti dei bilanci calorici verso discorsi di "eccesso" molto più frequenti di quelli di "scarsità". Dopodiché devo stare anche molto attento all'altro zucchero che non vedo. Quello nei succhi di frutta, negli yogurt, nelle bibite, nei dolciumi e nelle preparazioni da forno (specie se industriali), perché anche lì ce ne possono essere quantità spaventose che rendono ancora più ridicola la mia preoccupazione per il mio misero cucchiaino nel caffè.Per cui LEGGERE SEMPRE LE ETICHETTE NUTRIZIONALI, LISTA DEGLI INGREDIENTI COMPRESA, ed essere molto sospettosi ogni volta che c'è - sotto la voce "carboidrati", lo zucchero aggiunto (è la voce "di cui zuccheri") nell'elenco degli ingredienti. Facendo attenzione che anche qui può non essere evidenziato con la semplice voce "zucchero" ma con moltissime altre, tipo: zucchero di canna, zucchero invertito, fruttosio, glucosio, sciroppo di glucosio e fruttosio, lattosio, sorbitolo, destrosio, maltosio, destrine, sciroppo di amido con fruttosio, maltodestrine, mannitolo, sciroppo di malto, succo zuccherato disidratato, succo di zuccherato evaporato, succo di frutta concentrato, miele, melassa, zucchero d'uva, succo di mele concentrato, sciroppo d'acero, sciroppo di riso, sciroppo di sorgo, etc. etc. Mettiamoci in testa che stiamo parlando della stessa identica cosa. Magari con qualche vitamina e/o minerale in più, come nel caso del miele, ma all'interno del nostro corpo le reazioni metaboliche innescate (con l'intervento dell'insulina, prodotta dal pancreas), sono le medesime.E I DOLCIFICANTI ?L'uso dei dolcificanti non calorici ha più senso nella preparazione di torte, biscotti, prodotti da forno, dessert, oppure nella versione "diet" delle bibite... SE PROPRIO NON POSSO FARNE A MENO. Purché però non diventi il pretesto per mangiarne di più, del tipo, siccome questa torta è fatta con la stevia, allora me ne mangio tre fette invece che una, oppure siccome questa Coca Cola è "diet", me ne bevo 2 litri invece che una lattina. Su quest'ultimo argomento inoltre c'è da dire che studi recentissimi hanno dimostrato che facendo uso di bevande edulcorate con dolcificanti artificiali ipocalorici (a volte con potere dolcificante anche decine di volte superiore allo zucchero), si verifica un meccanismo strano e molto particolare. Chiaramente non mi si alza la glicemia, perché non c'è il glucosio, ma siccome noi "sentiamo il gusto dolce" non solo in bocca ma anche nell'intestino, quando vi arriva qualcosa di così altamente dolce si aprono, spalancano direi, le "porte intestinali" per assorbire il glucosio che però non c'è... e quindi ? E quindi, se bevo la mia bevanda ipocalorica da sola, succede nulla (o quasi), ma se io poi ci mangio qualcosa di dolce appresso, beh, a quel punto assorbirò molto di più di quello zucchero, qualsiasi esso sia dei tipi visti sopra, contenuto in quel dolce. La glicemia salirà molto di più, ma stavolta per un meccanismo intestinale. Insomma se dolcifico il cappuccino con la stevia e poi ci mangio appresso il classico cornetto, la mia glicemia salirà molto di più che se l'avrò zuccherato con lo zucchero, ma per il cornetto, non per la stevia! Questi studi sono stati confermati anche da altri studi che dimostrano che chi fa uso di dolcificanti artificiali si ammala di più di diabete ed anche di sindrome metabolica, quest'ultima praticamente la sua anticamera. Fatte tutte queste premesse veniamo ora nel merito della sicurezza dei singoli dolcificanti, e qui permettetemi di tranquillizarvi, è una preoccupazione veramente secondaria. Perchè considerate che qualunque sostanza sia esso un colorante, un alcaloide, un dolcificante, se lo usiamo in dosi massiccie su un topolino di laboratorio qualche volta gli verrà un tumore (o qualche altra cosa), ma il livello di scrutinio a cui tutti i dolcificanti ammessi sono sottoposti è tale che alle dosi di consumo normali non ha senso che ci stiamo a preoccupare di problemi di tossicità. I dolcificanti non calorici ammessi in Europa sono 8, 5 di sintesi e 3 derivati da piante. Quelli di sintesi sono: E950 Acesulfame K, E951 Aspartame, E952 Ciclamati, E954 Saccarina, E955 Sucralosio. Quelli di origine vegetale sono: E957 Taumatina. E959 Neoesperidina DC, E960 Estratto di Stevia. Personalmente ritengo che tra questi, il Ciclamato di Sodio vada eliminato il più possibile dalla nostra dieta perché recenti studi ne hanno messo in forte dubbio la sua sicurezza. Il Ciclamato ha conosciuto un successo notevolissimo, tant'è che circa trent'anni dopo la sua scoperta, negli USA se ne consumava una quantità enorme (circa 7 milioni di kg). Attualmente, il Ciclamato di sodio è considerato, un po' da tutti i nutrizionisti, fra i dolcificanti più a rischio, visto che nel 2000 il comitato scientifico dell'Unione Europea ne ha ridotto notevolmente la soglia di sicurezza (attualmente 7 mg/kg), equivalente a circa 1,1 litro di bevanda dietetica dolcificata con ciclamato e il suo utilizzo è soggetto a esclusioni e restrizioni varie. Considerate che negli USA, uno dei paesi al mondo più permissivi dal punto di vista degli additivi alimentari, l'utilizzo di ciclamato a uso alimentare è vietato addirittura da diversi anni...il che è tutto dire. In conclusione avrete capito che per un uso sporadico non c'è problema ma la raccomandazione rimane sempre quella che valeva per lo zucchero: "disinnescare" la propria dipendenza dal gusto dolce, progressivamente ma definitivamente dalla nostra alimentazione quotidiana, ad iniziare dal bisogno di dolcificare.MA QUALI SONO I VERI RISCHI CHE CORRO. COME PUO' DANNEGGIARMI L'AUMENTO COSTANTE ED INCONTROLLATO DELLA GLICEMIA NEGLI ANNI ?La situazione è veramente critica. Oramai più del 50% delle persone che si rivolgono a me sono affette da sindrome metabolica o sono nella sua anticamera, ovvero hanno una dipendenza dagli zuccheri eccessiva, assumendone molto di più della quota necessaria. E questo che siano sportivi o sedentari, giovani o meno giovani, uomini o donne. Un dramma, i cui attori principali sono il pancreas e quindi l'ormone da lui prodotto, l'insulina. Per chi vuole approfondire spiegherò qui appresso i meccanismi fisiologici che si innescano. Andiamo ad incominciare...L'insulina, come abbiamo già detto in altri post e come molti di voi già sanno, si preoccupa di eliminare il glucosio dal sangue e metterlo nelle cellule. E' un ormone talmente importante per la nostra vita che se non ci fosse e noi mangiassimo un abbondante piatto di pasta...andremmo in "coma diabetico". Come ? per l'eccesso di glucosio nel torrente sanguigno! Normalmente di glucosio in circolo nel sangue ne abbiamo all'incirca 1 gr/litro e per noi è talmente importante questo delicato equilibrio che già a 20 gr rischieremmo il coma, a 30 la morte. Santa Insulina allora, direi! E' quindi per l'effetto della produzione da parte delle cellule beta del nostro pancreas di questo ormone che tale delicato equilibrio rimane costante. Un vero e proprio salva-vita. Ma andiamo oltre... Cosa succede quando le riserve del fegato (70 grammi) e delle fibrocellule bianche (300 grammi) sono piene e la matrice extracellulare e tutte le cellule sono stracolme di zucchero? A questo punto l'insulina ha un'ultima soluzione a disposizione per riportare il glucosio a livelli normali, ovvero aumentare la produzione di lipoproteine VLDL dal fegato (ricordate il FNS N°4 sul colesterolo?) e costringere le cellule adipose (adipociti) ad accelerare l'assimilazione dei trigliceridi dalle stesse. Quest'azione può, ad onor del vero, essere considerata una vera e propria violenza nei confronti nelle cellule adipose. Infatti l'evoluzione aveva previsto un percorso assolutamente più dolce per stipare il grasso in eccesso, al contrario di quello attivato dall'insulina. Vediamo i due differenti percorsi:LA VIA PRIMORDIALE DEL GRASSO: Quando mangiamo cibi ricchi di grassi, le molecole in essi contenute, vengono assimilate dai villi intestinali, i quali producono le lipoproteine chiamate chilomicroni. Tali sfere di grasso sono immesse nel sistema linfatico e trasportate fino al sangue. I chilomicroni rilasciano gli acidi grassi alle cellule che ne fanno richiesta (ai fini energetici). Consegnato tutto il grasso presente nel loro magazzino, vengono assimilate dal fegato (che le distrugge). Se al contrario, sono ancora ricche di trigliceridi, li trasportano alle cellule adipose. Le cellule bersaglio sono gli adipociti di grandi dimensioni presenti nel sottocutaneo. Queste cellule hanno il compito di proteggere il nostro corpo dal freddo, infatti accrescono la loro dimensione nei periodi invernali e la riducono in quelli estivi. Il trasferimento degli acidi grassi dai chilomicroni alle cellule avviene senza nessun ormone mediatore e quindi non subiscono alcuno "stress cellulare".LA VIA "MODERNA" DEL GRASSO: Nell'epoca moderna, l'alimentazione ricca di amidi e zuccheri invece causa l'attivazione dell'insulina che agisce sulle cellule adipose presenti nell'addome dell'uomo e nelle gambe e sui glutei delle donne. La dimensione di questi particolari adipociti è inferiore a quella delle loro sorelle, presenti nel sottocutaneo. Questo perché non hanno il compito di contrastare il freddo, ma solo di trattenere momentaneamente l'eccesso di calorie ingerite (nel paleolitico poteva accadere di mangiare frutta in eccesso), per poi rilasciare il grasso nei giorni successivi. Purtroppo l'alimentazione moderna con la sua elevata presenza di zuccheri, determina l'eccessivo stimolo nei confronti degli adipociti da parte dell'insulina. Ciò causa stress elevati ed eccessivo rigonfiamento (particolarmente agli adipociti più piccoli) che porta alla compressione dei mitocondri cellulari, alla loro disfunzione e quindi nei casi estremi all'apoptosi (suicidio) cellulare. L'intervento dei mastociti, richiamati in loco per degradare le cellule morte, crea poi un'infiammazione. Un simile processo, fa del grasso addominale, una fonte inesauribile di citochine infiammatorie e radicali liberi.Vi sembra possibile che la nostra evoluzione non abbia previsto il possibile stress degli adipociti ed il relativo effetto infiammatorio?Sicuramente aveva altri piani per il nostro corpo e certo non avrebbe mai immaginato una quantità così elevata di zuccheri, da stipare sotto forma di grasso. Difatti l'insulina predilige le cellule dell'addome, per il semplice fatto che è la parte più irrorata di sangue, quindi più veloce per depositare il grasso e contestualmente più rapida da riutilizzare in presenza di un deficit di calorie (è il primo grasso che cala in caso di dieta). Ma il glucosio non causa danni solo gli adipociti, bensì a tutte le altre cellule del corpo.IL GLUCOSIO ED I DANNI ALLE CELLULE: Quante volte ci siamo sentiti dire che il nostro corpo va a zucchero? Ci raccontano che il glucosio rappresenti il miglior combustibile per le nostre cellule. Siamo veramente convinti che sia così?La natura strutturale delle nostre cellule ci suggerisce una verità opposta. Esse sono predisposte per utilizzare il grasso come carburante (substrato energetico) e solo saltuariamente, dovrebbero utilizzare il glucosio. L'unica eccezione si registra con le cellule nervose e con le fibrocellule di tipo 2b (fibra bianca muscolare). In tal caso, il neurone ha necessità di produrre molta energia per attivare le pompe sodio potassio (per produrre lo stimolo elettrico, grazie alla polarizzazione delle cellule) e ne possiede 100 volte in più delle cellule normali. La fibrocellula dei muscoli (della fibra bianca) utilizza molta energia per la contrazione veloce (scatto e forza), possedendo pochi mitocondri ed una riserva di glicogeno (cristalli di glucosio prodotti dal fegato). Le altre cellule sono totalmente diverse dai neuroni e dalle fibrocellule, dovendo produrre energie centesimali proprio per il numero ridotto di pompe sodio-potassio (senza avere la necessità di accelerare il proprio metabolismo). Per la produzione energetica delle cellule esistono due vie: la prima è il Ciclo di Krebs ed è ad opera dei mitocondri, la seconda è la glicolisi. In sintesi:- Il mitocondrio produce con una particella di Acetil-coA (acido grasso) 34 Atp (particelle energetiche), utilizzando l'ossigeno che respiriamo dai polmoni.- La glicolisi invece avviene in assenza di ossigeno, usa particelle di glucosio e dopo ben dieci processi chimici produce una quantità di soli 2 Atp.Dalla glicolisi si ottengono anche 2 particelle di acido piruvico, che dovranno subire un'altra lavorazione per trasformarsi in Acetil-coA ed entrare nel mitocondrio per poi produrre energia con il Ciclo di Krebs..La caratteristica del processo glicolico è la sua velocità di produzione, che se pur inefficiente, risulta molto elevata. Difatti nel tempo che il mitocondrio impiega per produrre una particella energetica (Atp), la glicolisi ne produce 5.Le domande che ora vi pongo sono le seguenti:Se non abbiamo bisogno di tanta energia, perché dovremmo attivare la glicolisi (come il turbo di un motore) ? Quanto può durare il motore di una vettura se lo tenessimo sempre al massimo dei giri?Le nostre cellule hanno un loro metabolismo basale, per il quale l'evoluzione le ha dotate di un numero di mitocondri (con una produzione costante) capaci di produrre solo l'energia necessaria. Quando ingeriamo carboidrati, l'insulina per eliminare il glucosio dal sangue, lo pompa all'interno delle membrane cellulari con il sistema dell'osmosi cellulare, obbligando le cellule ad attivare la via glicolica producendo così energia in esubero, che le cellule non sanno come utilizzare. Inoltre un eccessiva presenza di Atp, causa la mancata produzione di un agente riducente (Nad), fondamentale per riattivare il Glutatione, che è la nostra migliore arma per contrastare i radicali liberi generati dai mitocondri.Al contrario, quando la cellula ha bisogno di carburante (acidi grassi), li richiede direttamente alle lipoproteine (che ne rilasciano la giusta quantità).Un altro problema che coinvolge la cellula è l'eccessiva produzione di acido piruvico, dovuta al processo della glicolisi. Se il mitocondrio è cinque volte più lento rispetto alla glicolisi, significa che solo una piccola quantità di piruvato può trasformarsi in Acetil-coA per essere utilizzata dal mitocondrio. La cellula subirà una super produzione di acido piruvico che innalzerà l'acidità del Citosol, che è il liquido che si trova all'interno delle cellule. L'eccessiva presenza di scorie acide all'interno della cellula, a sua volta causa il danneggiamento delle strutture proteiche. Per evitare ciò, la cellula è costretta a riversare l'acido piruvico nella matrice extracellulare aumentando la sua acidità tissutale. Tutto questo stress cellulare è dovuto all'utilizzo dei carboidrati come supporto energetico, mentre il consumo energetico dei grassi non determina alcuna modifica dell'omeostasi cellulare.CONCLUSIONI:Sebbene siamo portati a pensare che il nostro carburante principale sia il carboidrato (zucchero), in realtà non lo è. La confusione è nei termini, perché come abbiamo visto sopra, è il grasso il nostro CARBURANTE PRINCIPALE (usato dalla maggior parte delle cellule), mentre il carboidrato è il nostro CARBURANTE PREFERITO (usato solo da poche e particolari tipi di cellule che hanno esigenze particolari), perché è quello che ci fa produrre energia velocemente, sebbene quantitativamente meno. D'altronde se la natura avesse voluto il contrario ci avrebbe dotato dei rispettivi serbatoi in maniera diversa, in proporzione opposta. Ed invece il nostro serbatoio dei grassi è teoricamente illimitato mentre quello del glicogeno è ben modesto, all'incirca 400 gr ...una vera miseria. E' stato calcolato che mediamente abbiamo bisogno di 5 gr/ora di zucchero al giorno, per il nostro metabolismo basale, al quale dobbiamo aggiungerne una altro po' se pratichiamo una attività sportiva. Il "supplemento" in questo caso dipende dal tipo di attività sportiva praticata. Ma stiamo sempre parlando di aggiustamenti abbastanza modesti rispetto alla credenza comune che ci disegna come vere e proprie fucine, fornaci, brucia zuccheri. In sostanza, l'evoluzione ci ha fatto "macchine" efficientissime per immagazzinare ma meno, molto meno per bruciare. Ahimè...

FOOD NEWS SPECIALE N°5 - IL SALE: Come un vantaggio evolutivo di ieri è diventato il grande svantaggio di oggi. Facciamoci furbi!

L'eccesso di sale nella nostra alimentazione è dannoso ? Si, certamente, il sale può far danni ed anche parecchi. Bella forza, direte voi...e ci voleva un nutrizionista per darci una risposta del genere ? Certamente no, rispondo io, ma...calma e gesso ! Ho deciso di scrivere questo post per approfondire un po' di più l'argomento proprio per andare oltre l'ovvio. Inizieremo con il parlare un po' di storia evolutiva ed altre curiosità per poi indagare su come ci può danneggiare, quanto ce ne vuole, di quale sale parliamo e, sopratutto di dove lo troviamo questo benedetto (anzi, "maledetto") sale. In ultimo (...e vorrei vedere!) passeremo in rassegna le varie soluzioni al problema, il famoso "PIANO B".IL SALE, UNA STORIA DI CARENZAPer la maggior parte della nostra storia evolutiva l'assunzione di sale è stata una questione di carenza, piuttosto che di eccesso. E' contenuto in maniera scarsissima negli alimenti vegetali (probabilmente lo avrete visto tutti dal vivo o in qualche documentario, gli erbivori quando lo trovano lo leccano) e comunque non è abbondante neanche in quelli animali. Ed è per questo motivo che, evolutivamente, siamo portati ad apprezzare così tanto il gusto salato. Inoltre gli individui geneticamente predisposti a trattenerlo meglio, attraverso un maggior recupero di sodio a livello renale, erano avvantaggiati perché non andavano subito in carenza, magari subito dopo una sudata o un attacco di diarrea, cosa che a quei tempi poteva essere molto pericoloso se non letale. Oggi le cose sono molto cambiate. il sale siamo capaci di recuperarlo facilmente in grandi quantità ed in più modi diversi e siamo abituati pure ad averlo a disposizione in modo molto economico e quindi quello che in passato era un vantaggio evolutivo è diventato un grosso svantaggio. Oggi introduciamo tantissimo sodio ma non siamo molto bravi a liberarcene perché il nostro corpo è - ora come allora - costruito per risparmiarne il più possibile. Su una scala evolutiva poche decine di anni, gli ultimi nella fattispecie, sono come un battito di ciglia per il nostro metabolismo che invece è pressoché ancora quello dei primi Homo Sapiens.COME CI DANNEGGIA E QUANTO CE NE VUOLEIl sale da cucina, quello che più conosciamo, è fatto da sodio e cloro (cloruro di sodio: 40% sodio, 60% cloro) che insieme al potassio sono i principali elettroliti (ioni positivi o cationi, sodio e potassio, negativo o anione, il cloro) distribuiti nei fluidi del nostro corpo che a seconda di come si "muovono" regolano la distribuzione dell'acqua nei nostri tessuti ma anche l'equilibrio acido/basico (pH), i potenziali di membrana (della cellula), ed altre cosucce ancora. Normalmente il nostro fabbisogno di sale, quindi di sodio e cloro, è sempre soddisfatto anche se non lo usiamo affatto in cucina per insaporire i cibi, perché comunque è già contenuto normalmente negli alimenti ed I 200 MG DI SODIO, POCO MENO DI UN GRAMMO DI SALE DA CUCINA, che ci serve per coprire il nostro fabbisogno giornaliero lo raggiungiamo con estrema facilità. Dobbiamo altresì sapere - per nostra cultura personale - che più della metà della popolazione mondiale non ne conosce l'uso in cucina, per insaporire (preferendo, buon per loro, le ben più innocue, anzi salutari, spezie e le infinite erbe aromatiche che esistono), bensì solo per conservare il cibo. Abbiamo detto sopra che è quasi sempre un problema di eccesso e questo eccesso è un problema per tutta una serie di ragioni. vediamo quali:PRIMO PROBLEMA: Un aumento del sodio aumenta la ritenzione idrica perché è il principale catione extracellulare che richiama acqua fuori dalle cellule e la trattiene lì.SECONDO PROBLEMA: Per la stessa ragione un eccesso di sodio causa un aumento della pressione del sangue (ipertensione). Tutti sappiamo che dopo aver mangiato un alimento molto salato ci viene sete e questo perché la prima emergenza che l'organismo deve risolvere è la concentrazione salina troppo elevata nel sangue che minaccia di squilibrare i delicati equilibri su cui si basa la nostra salute ed addirittura la nostra stessa vita. E poiché il modo più veloce per diluire il sangue è quello di bere un po' d'acqua, il centro della sete nel nostro ipotalamo si attiva inducendo lo stimolo a bere. Diluire il sangue però, ovviamente, ha l'effetto collaterale di aumentare la pressione e per il nostro organismo è una questione di priorità e mantenere la concentrazione salina costante è molto più importante che mantenere la pressione. Soprattutto però per chi ha già problemi di ipertensione o è a rischio cardiovascolare questo aumento ulteriore della pressione sanguigna non è affatto una buona cosa e quindi se la raccomandazione per tutti è di non eccedere col sodio a maggior ragione lo si raccomanda alle persone ipertese. N.B.: Sempre per la medesima ragione, uno dei primi effetti delle diete iposodiche - guarda caso - è proprio un calo di peso dovuto dall'eliminazione dell'acqua in eccesso trattenuta dal sodio che è acqua completamente inutile e serve solo ad aumentare la pressione.TERZO PROBLEMA: Un consumo eccessivo di alimenti troppo salati ci provoca irrigidimento dei vasi sanguigni, eccessiva aggregazione piastrinica, ipertrofia del ventricolo sinistro ma è soprattutto un fattore di rischio per il tumore allo stomaco per via dello stress indotto sulla mucosa gastrica. Ad es. nel paese del Sol Levante, dove si consuma molto sodio sotto forma di alimenti conservati sotto sale e di salsa di soia, l'incidenza di tumori allo stomaco presso la popolazione è molto più elevata che in Europa (in compenso è molto più bassa l'incidenza dei tumori al seno probabilmente per l'elevato consumo di soia, con i suoi fitoestrogeni, fin dall'infanzia).QUARTO PROBLEMA: Stavolta non riguarda il sodio ma il cloro che, come abbiamo visto, è l'altra parte del sale da cucina. Il cloro è un anione acidificante, per cui quando è troppo deve essere "tamponato" ed eliminato per mantenere stabile il pH (in condizioni normali il sangue è leggermente alcalino - ovvero in una scala convenzionale da 0 a 14, maggiore di 7 - per cui abbiamo il pH che varia entro limiti piuttosto ristretti, cioè tra 7.35 e 7.45). Stavolta il modo più facile che il nostro organismo possiede per farlo è quello di prelevare calcio dalle ossa, usarlo per tamponare il cloro ed eliminarlo con le urine. Questo ovviamente risolve l'emergenza ma alla lunga, se si protrae continuamente nel corso degli anni, diventa evidentemente un problema, perché demineralizza le ossa e ci provoca osteoporosi.Quindi, riassumendo: l'eccesso di sodio può crearci molti problemi, ne abbiamo visto sopra la maggior parte, specie qui in Italia dove è stato calcolato che il consumo medio di sodio è IL DOPPIO DEL LIMITE MASSIMO RACCOMANDATO, ovvero supera più di 10 / 12 volte il nostro fabbisogno di 200 MG.MA DOVE LO TROVIAMO ANCHE SE NON LO AGGIUNGIAMO ?Il sodio OGGIGIORNO è come il prezzemolo", sta un po' dappertutto. E come se non bastasse si mimetizza (anzi, LO MIMETIZZANO) anche molto bene. Una ricerca statistica infatti ha dimostrato che BEN l'80% (!) è aggiunto durante il processo di produzione degli alimenti (chiamato anche SALE NASCOSTO) e solo il 10% è quello aggiunto da noi attingendo dalla saliera. Il restante 10% chiaramente lo troviamo naturalmente negli alimenti. Le principali fonti di sale nascosto sono i salumi (soprattutto il prosciutto crudo), i formaggi, i cibi in scatola (specie quelli conservati "al naturale", un paradosso lo so'...) ed i piatti pronti. Anche il pane può contenere quantitativi non irrilevanti di sale, normalmente 10 grammi per mezzo kg, che sono tanti. Un normale panino con 50 grammi di prosciutto crudo ed una fetta di formaggio apporta GIÀ' DA SOLO quei 6 grammi di sale (corrispondente a 2,4 grammi di sodio) che dovrebbero essere il limite massimo dell'assunzione giornaliera. Badate bene, NON IL FABBISOGNO (che è di c.ca 200 mg) MA IL LIMITE MASSIMO, per cui tutto il resto che consumeremo nell'arco di quella giornata sarà di troppo.LA GIORNATA TIPO DEL SIG. UGO F.Il Sig. Ugo - che si pregia di non fare assolutamente uso della saliera - si alza al mattino e si beve un caffellatte con 5 biscotti (e sono stato buono): totale 550 MG di sale...E si, perché uno dei lieviti più antichi è proprio il bicarbonato di sodio, quindi il sodio, iattura delle iatture, lo troviamo anche nei dolci (tipico esempio ne è il Donuts, tipico dolce americano che contiene il 20% in più della porzione di patatine fritte tipica della ben nota catena alimentare con la "M" gialla in campo rosso). Diciamo che il Sig. Ugo è bravo e non mangia null'altro nel corso della giornata. Poi all'ora di pranzo va al bar e prende un panino (o un tramezzino) con prosciutto crudo e formaggio, sottilette, ad esempio: totale 4500 MG di sale. Vale a dire, con questo paninetto di quattro bocconi, l'esimio ha già messo dentro il 75% del limite massimo di sale che non dovremmo mai superare in tutto il giorno. Il poverino poi finisce di lavorare, oggi tutto sommato non ha mangiato molto, quindi, uscendo dall'ufficio, si fa un aperitivino (da notare che in questo paese sentivamo tremendamente il bisogno dell'usanza dell'happy hour, ci mancava...NdR) con una ciotolina di olive, 50gr, una manciatina di noccioline, altri 50gr, ed una ciotolina di patatine, 70gr: totale, altri 4500 MG. Poi torna a casa, avendo appena fatto l'aperitivo, non ha molta fame ed ancora meno voglia di cucinare, per cui prende una busta con del risotto pronto ai funghi porcini. Contiene due porzioni ma, parliamoci chiaro, è in realtà una, solo leggermente abbondante: totale 5600 MG di sale. Il che vuol dire che con questo piatto, da solo, si è già preso oltre il 90% di sale dell'intera giornata. A no, pardon, ci ha messo sopra anche un cucchiaio di parmigiano grattugiato, 500 MG di sale: Totale cena 5600+500 = 6100 MG di sale. Se non gli prende sonno (o qualcuno lo ferma, avendone pietà), spizzica ancora qualcosa di dolce davanti alla TV, diciamo 3 biscottini che sono altri 300 MG di sale e poi va a nanna... Alla fine della sua giornata, più o meno tipica della media degli italiani (e sono stato buono sorvolando sull'argomento "pizza"), il Sig. UGO F. ha assunto e superato la bellezza di 11 GRAMMI DI SALE ! E questo moltiplichiamolo per le settimane, i mesi e gli anni... Non penso sia il caso di aggiungere altro. SALE E IODIOPrima di passare alla prossima sezione, una parolina sullo iodio che come sappiamo in Italia si è deciso di addizionare proprio al sale da cucina (sale iodato) per scongiurarne la carenza a beneficio della tiroide e quindi della produzione degli ormoni da parte di quest'ultima. Assumere i 150 microgrammi al giorno che ci metterebbero al sicuro, usando il sale, sarebbe una scelta poco intelligente, anzi folle, perché ce ne occorrerebbero ben 5 grammi. Faremmo come quelli che per fare il pieno di antiossidanti dal vino rosso si dovrebbero sbronzare tutti i giorni. Combatterebbero i radicali liberi ma poi dopo un po' butterebbero il fegato. Insomma, c'è di meglio... Lo iodio assumiamolo tranquillamente mangiando pesce di mare, frutta carne e vegetali che crescono vicino a terreni in prossimità delle coste, per chi ha la fortuna di abitare in quei paraggi, ma soprattutto dalle alghe. In un mio precedente post ho parlato di questo STRAORDINARIO ALIMENTO che però purtroppo in Italia è poco diffuso, forse perché associato scioccamente all'idea di mucillagine, non so...Quello che so è che in oriente dove invece è normalmente usato, problemi di insufficienze tiroidee non ne conoscono ed è praticamente sconosciuto il fenomeno del gozzo (ingrossamento della tiroide per recepire più iodio possibile se ce n'è poco in circolo).SFATIAMO UN MITOTra le persone ipertese, specialmente ma non solo, c'è l'abitudine di scegliere acque povere di sodio (2-5 mg/l)- a volte con una ricerca spasmodica di questa o quella marca (quasi sempre la più rara = costosa) che ci garantisce quello "zero virgola zero zero ics" in meno di quell'altra. In realtà, nell'acqua di sodio c'è n'è veramente pochino. Insomma, "guardiamo il dito e non la luna". A queste persone, riportandole con i piedi per terra, vorrei ricordare che UN OLIVA DA SOLA NE CONTIENE 100 DI MG DI SODIO, cioè l'equivalente di 20 litri della loro acqua iposodica!PER ULTIMO MA NON ULTIMO - LAST BUT NOT LEAST!Un importantissimo requisito per l' apporto di sodio nella dieta è che questo sia bilanciato con un corrispondente apporto di potassio in quantità circa pari. Cioè per ogni grammo di sodio che assumiamo vorremmo anche un grammo di potassio. Se all'aumentare del sodio questo non si verifica, a prescindere dalle sciagure viste sopra, le cose si mettono ancora peggio perché l'organismo finirà per impoverirsi di potassio eliminandolo con le urine insieme al sodio ed una carenza di potassio può portare a situazioni molto pericolose, incluso l'arresto cardiaco (altro che crampi!). Detto fra parentesi anche certi diuretici di vecchia generazione (come il Lasix®) aumentano l'escrezione di potassio, quest'ultimo è il tipico esempio della fotomodella che si imbottisce di diuretici prima della sfilata per strizzare via qualche kg d'acqua salvo poi collassare e finire al pronto soccorso in carenza di potassio. Per fortuna quest'ultimo è largamente diffuso nella frutta (Avocado in primis ma anche nella banana) e nella verdura cruda (in quella cotta passa completamente nell'acqua di cottura) ed in misura minore nei cereali integrali, nei semi oleosi, nei legumi e negli alimenti animali. Siamo salvi.CONCLUSIONIFocalizziamoci sul colpevole maggiore: IL SALE NASCOSTO.Verrebbe da chiederci perché l'industria alimentare usi così tanto sale nei suoi prodotti, al di là di quello aggiunto attraverso additivi che hanno il loro scopo specifico, lievitanti, conservanti, etc. Beh, in primo luogo il consumatore si è ormai assuefatto al gusto salato per cui se diminuiscono il sale trova tutto insipido e non compra più i loro prodotti. Secondo, nel caso della carne, il sale trattiene acqua (circa il 20-30%) e quindi aumenta di peso. Paghiamo l'acqua al costo della fiorentina, poi andiamo a casa e dopo la cottura in padella ci rimane una misera fettinetta triste. Terzo, il sale fa venire sete e quindi noi beviamo soprattutto bevande ed acque confezionate, spesso vendute proprio da quelle aziende che riempono di sale i propri snack ed alimenti industriali proprio per farci venire più sete, ed il cerchio si chiude. Ma la ragione principale è un'altra ancora, ed è la solita regola del "sale-zucchero-grasso". Agendo su queste 3 leve (esistono formule con proporzioni ben precise e studiate a tavolino), io come industria alimentare posso produrre ogni sorta di alimenti gustosi con materie prime le più economiche, garantendomi ricavi economici abnormi.FACCIAMOCI FURBIIl nostro "Piano B" di cui sopra quindi, dovrà essere messo in campo applicando queste semplici regole:REGOLA N°1: privilegiare sempre i prodotti freschi a quelli trasformati dall'industria. Ad esempio un salmone in scatola ha in media 5 volte più sale di un salmone fresco. Un salmone affumicato, 12 volte di più.REGOLA N°2: Quando acquistiamo prodotti trasformati, leggiamo sempre molto attentamente le etichette e confrontiamo il contenuto di sale con le varie opzioni alternative perché le differenze possono essere anche molto consistenti.REGOLA N°3: Al ristorante chiediamo espressamente che venga usato poco sale, oppure nulla, al limite ci pensiamo noi.REGOLA N°4: A casa facciamo il più possibile uso di alternative per insaporire i cibi, come spezie ed erbe aromatiche, limone, senape, peperoncino, cipolla, aglio, etc. E ricordiamo invece che dadi, salsa di soia, glutammato monosodico, pasta di acciughe, polveri e salse orientali varie, per condire carne, pesce ed insalate, sono tutte fonti di enormi quantità di sodio, quindi non sono valide alternative al sale, sono solo modi diversi - per lo più peggiori - di aggiungere sale. N.B.: Usare le spezie in cucina è poi anche un modo nuovo e più divertente di insaporire gli alimenti scoprendo gusti sorprendenti ed inaspettati, e questo chi si rivolge a me e segue i miei consigli lo sa molto bene. A volte ho visto facce (talmente sorprese ed incredule) che voi umani...Ricordate soprattutto che: PER FORTUNA RIEDUCARE LE SOGLIE DI PERCEZIONE DEL SALATO E' UNA COSA MOLTO VELOCE! Per cui se riduciamo da subito il consumo di sale, troveremo tutto terribilmente insipido, MA SOLO PER UNA, MASSIMO DUE SETTIMANE e poi ci saremo subito abituati alle nuove soglie, potendo così apprezzare il VERO SAPORE DEGLI ALIMENTI riuscendone a capire meglio anche la loro composizione e la loro preparazione culinaria. Credetemi, è proprio cosi. Se avete una soglia elevata di percezione del salato - se bendati, con una molletta al naso e ve le danno grattugiate - non sarete neanche in grado di distinguere il sapore di una carota da quello di una zucchina ! Provare per credere...

FOOD NEWS SPECIALE N°4 - IL COLESTEROLO, OVVERO COME L'ELEFANTE DIVENTA UN TOPOLINO

Facciamo finalmente un po' di chiarezza!Non penso di esagerare se dico che quello del colesterolo è uno degli argomenti di conversazione che preferiamo. Certo, non al Bar-dello-Sport, ma tipicamente a tavola con amici, parenti e commensali in genere. L'innesco potrebbe essere molto spesso una pubblicità che passa in TV proprio in quel momento, tipicamente a cena (guarda il caso), oppure l'etichetta di una qualche confezione che abbiamo in frigo o in dispensa. Essendomi trovato spesso ad ascoltarne di tutti i colori ed essendo stato altrettanto spesso esortato a chiarire un po' le idee in materia, in verità mediamente parecchio confuse, approfitto e lo faccio qui, in questo Food News Speciale. Prima di andare ad iniziare però abbiamo bisogno di capire la differenza tra ciò di cui sotto parleremo molto diffusamente, ovvero, tra colesterolo e trigliceridi. Sono entrambi grassi, ma se il primo è una molecola di tipo steroideo, i secondi, come suggerisce il nome, sono costituiti da una molecola di glicerolo a cui si legano 3 molecole di acidi grassi. I trigliceridi derivano principalmente dai grassi che assumiamo con l'alimentazione, e la loro sintesi da parte dell'organismo è minima; al contrario, circa il 70% del colesterolo che troviamo nel sangue è prodotto dal nostro fegato (come vedremo diffusamente sotto). Il colesterolo è un elemento fondamentale nella costituzione della parete cellulare, partecipa al processo digestivo, alla produzione di vitamina D e di alcuni ormoni. I trigliceridi servono invece come riserva di energia, immagazzinando le calorie non utilizzate dall'organismo.Bene, ora che siamo a posto con la nomenclatura, iniziamo. Procederò analiticamente per punti:PUNTO 1:Il colesterolo in se, non è un veleno, non è una malattia e di norma è un elemento fondamentale per la vita. Nel nostro corpo può stare o in giro nel sangue o all'interno delle cellule dei nostri tessuti. Noi abbiamo questa immagine mentale che il colesterolo sia dannoso, ma in realtà lo è se, e solo fintanto che, è in circolo nel sangue. Una volta che passa dentro le cellule non fa più danno a nessuno e anzi è assolutamente indispensabile per la nostra sopravvivenza. Tanto per capirci meglio, senza colesterolo io non avrei la forma che ho ma sarei una sorta di "squacquerone molle" perché è lui che da la struttura alle mie membrane cellulari. Sempre lui è il precursore di vitamina D nella pelle (mi aiuta a produrla oltre a quella che prendo dagli alimenti, serve per fabbricare molti ormoni (senza ad es. non avremmo gli ormoni sessuali), serve per fabbricare i sali biliari che ci aiutano nella digestione dei grassi, etc. Il colesterolo che se ne va a zonzo nel sangue e che quindi non viene preso dalle cellule invece è pericoloso, e molto, perché tende a depositarsi sulla parete delle arterie, va sotto l'endotelio e forma la placca aterosclerotica che diventa via via sempre più grande, occlude le arterie, blocca il passaggio del sangue e quindi malattie cardiovascolari > infarto > ictus > morte.PUNTO 2:Il colesterolo in circolo nel sangue (o colesterolemia) non centra nulla con quello presente negli alimenti! Una volta si presupponeva questo, ma oggi sappiamo che quest'ultimo conta assai poco. Se prendiamo un uomo e gli facciamo ingurgitare un cibo ricco di colesterolo, tipo il tuorlo delle uova, anche 3 o 4 tuorli tutti insieme e monitorare la colesterolemia vedrete che non si muove più di tanto come è ovvio: in gran parte noi lo assorbiamo, quello che assorbiamo si disperde in 5 litri di sangue, un po' va nei tessuti ed è evidente che al più aumenta di qualche punto ma niente di che. Se mangiate 4 uova non ve lo sparano a 400, tutt'al più va a 210 per qualche ora... Quindi toglietevi dalla testa che il colesterolo negli alimenti (nelle uova, nel cervello, etc. ) fanno aumentare il colesterolo perché non è vero, non succede, basta fare la prova. Se c'è qualcosa che lo fa aumentare sono gli zuccheri ed i triglicerdi (praticamente i lipidi, amichevolmente - si fa per dire - chiamati grassi) ma quelli "saturi", normalmente di origine animale (ma non necessariamente), soprattutto poi quelli "trans" (o grassi idrogenati). Quelli a cui chimicamente, quindi artificialmente, si è aggiunto un atomo di idrogeno - che li fa passare dallo stato liquido a quello solido - per renderli più conservabili, quindi meno ossidabili, quindi meno deteriorabili.PUNTO 3:Se la maggior parte del colesterolo nel sangue non viene dagli alimenti, da qualche altra parte verrà e come qualsiasi medico biochimico sa molto bene da decenni, il colesterolo ce lo produciamo noi. Le nostre cellule ne sono capaci, se ne hanno bisogno, il fegato ne produce la maggior parte ma stavolta non tanto perché ne abbia bisogno lui ma perché - altruista - lo manda in giro a beneficio degli altri tessuti. Quindi possiamo tranquillamente dire che la nostra colesterolemia è determinata in gran parte da noi stessi nel nostro fegato. E allora saremmo portati a pensare, beh...se è così allora mi arrendo! Ed invece no! Ed è proprio qui che dobbiamo capire come funziona la storia, perché la dieta in realtà HA UN RUOLO FONDAMENTALISSIMO. Come fa il colesterolo ad essere prodotto nel fegato ? Innanzitutto c'è bisogno della "materia prima" che nel nostro caso ha un nome ed un cognome, è l'Acetil-coenzima A (che spesso troviamo abbreviato in "Acetil-CoA") che ogni cellula può ottenere facilmente dal glucosio o dai trigliceridi. Quindi cominciamo a sospettare che quello che ci deve preoccupare di più negli alimenti sono proprio gli zuccheri ed i grassi saturi, non tanto il colesterolo... Poi c'è bisogno di un enzima, l'enzima chiave di questa via metabolica, che ha un nome complicatissimo, "Idrossimetilglutaril coenzima A reduttasi" (NADPH), impossibile da ricordare (e pure complicato da scrivere) e che quindi da qui in poi chiameremo amichevolmente "L'enzima-che-fa-il-colesterolo" o ancora meglio "l' Enzima Del Colesterolo", abbreviato, "EDC". Come tutti gli enzimi, può essere "indotto", e allora produrrà tanto colesterolo, oppure "inibito" e allora ne produrrà poco. Diciamo subito che i farmaci più potenti che si danno a chi ha il colesterolo fin sopra i capelli, LE STATINE, agiscono esattamente in questo modo, bloccando l' EDC per cui il fegato si da una bella calmata e ne produce assai poco. Come le statine, ma in modo più blando, anche l'acido butirrico, che si produce nel colon dalla fermentazione della fibra alimentare (solubile), agisce in questo modo, per cui questo è uno dei molteplici meccanismi per il quale la fibra alimentare ha un effetto ipocolesterolemizzante. Più importante è tuttavia il nemico che l' EDC lo induce e si tratta dell'ormone INSULINA (Tadaaaa! ...tana!!). Come sappiamo molto bene l'insulina è prodotta dal pancreas e rilasciata nel flusso sanguigno quando noi consumiamo gli zuccheri, per cui se vi mangiate un bel trancio di pizza (specie se fatta con farina 00) o una bella baguette, tutta bella bianca, raffinata, con un indice glicemico di 95 (praticamente zucchero bianco a cucchiaiate) quella vi fa schizzare il glucosio > schizza l'insulina > l'insulina attiva l' EDC che prende lo zucchero della baguette e ne fa colesterolo, lì per lì, su due piedi. Ecco perché con quella mezza baguette avete fatto più danni che non con una frittata di 4 uova!PUNTO 4:Introduciamo ora altri due attori protagonisti di questa storia: il colesterolo buono, l' HDL (High Density Lipoprotein) e quello cattivo, l' LDL (Low Density Lipoprotein). Queste etichette in realtà sono un po' fuorvianti perché di colesterolo di per se ce n'è uno solo. Quando ci riferiamo all'uno o all'altro, ci riferiamo in realtà al modo in cui il nostro organismo lo impacchetta. Quando infatti il fegato produce colesterolo non può mandarlo in giro nel sangue così, "a capocchia sua", alla rinfusa insomma, perché come abbiamo visto dalla nomenclatura, come i trigliceridi anche il colesterolo è un grasso, quindi idrofobico, non si scioglie nel sangue che è acquoso, così come se voi prendete dell'olio e lo versate in un bicchiere d'acqua, quello non ne vorrà sapere di essere mescolato, si separerà ed andrà a galla. Prima di mandarlo in circolo perciò il fegato lo impacchetta in apposite "navicelle" proteiche, che sono le lipoproteine di trasporto chiamate VLDL (Very Low Density Lipoprotein), che per la maggior parte inglobano i trigliceridi che il fegato produce (o mette in moto) e poi anche un po' di colesterolo. Anche il colesterolo degli alimenti che noi assorbiamo nell'intestino è soggetto allo stesso meccanismo. E' impacchettato in navicelle di trasporto, altre lipoproteine che si chiamano chilomicroni portano il colesterolo dall'intestino al fegato che poi le smonta e re-impacchetta il colesterolo coi trigliceridi nella VLDL e le manda in circolo. Le VLDL se ne vanno in giro, cedono innanzitutto i trigliceridi alle cellule che ne hanno bisogno e così facendo restano sempre più ricche di colesterolo. Poi, nel sangue, tendono ad associarsi tra di loro a diventare un po' meno dense, prendono il nome di LDL che sono perciò molto ricche di colesterolo. PUNTO 5:Vediamo a questo punto tutti i casi possibili, iniziando dal peggiore. Se queste LDL se ne stanno in circolo nel sangue senza che succeda niente finiscono per depositarsi sulla parte delle arterie, in particolare le coronarie, e fanno tutti i danni che sappiamo, aumentando il nostro rischio di malattie cardiovascolari, trombosi, embolie, ictus, infarto, etc. Se poi queste LDL sono piccole tanto peggio, perché ancora più facilmente si infilano sotto l'endotelio delle arterie e formano la placca aterosclerotica. Altro caso, invece più favorevole, le LDL nel sangue possono incontrare un altro tipo di lipoproteina di trasporto, le HDL, quelle ad alta densità (il colesterolo buono) che hanno il compito specifico di rimuovere le LDL (cattive) dal circolo sanguigno e riportarle al fegato che poi provvederà a smaltire il colesterolo in eccesso attraverso i sali biliari. Da qui si capisce perché tipicamente le chiamiamo (amorevolmente) "le spazzine del colesterolo cattivo" proprio perché lo tolgono di mezzo dal circolo sanguigno facendo "pulizia". Tuttavia se le HDL non sono abbastanza rispetto alle LDL poverine fanno come chi vuole svuotare il mare con un secchiello, fanno quello che possono ma non ce la faranno mai. Possiamo usare anche la metafora, a me cara (forse perchè più "romantica"), del viale alberato in autunno, dove, le foglie che cadono sono le LDL e gli spazzini le HDL. Possono anche cadere migliaia di foglie ma se io ho sufficienti spazzini il mio bel viale sarà sempre e comunque lindo e pinto. Tornando "a bomba" sulla nostra fisiologia, capiamo ora molto meglio perché è IL RAPPORTO TRA LDL e HDL nel sangue quello che conta, il dato fondamentale. Quando noi guardiamo le nostre analisi del sangue non ci dobbiamo preoccupare tanto di "quante" LDL ed HDL abbiamo, ma proprio del loro rapporto che se non è evidenziato in chiaro (a volte lo è) lo possiamo determinare noi stessi con una banalissima divisione. In buona sostanza, se le HDL sono almeno un terzo delle LDL siamo tranquilli che ce la fanno a lavorare bene. C'è poi anche un altro destino possibile per le LDL che è quello fisiologico...ste' cellule avranno pure bisogno di colesterolo per fare quelle cose che dicevamo sopra (le membrane, gli ormoni, la vitamina D, etc.)! E quando una cellula ha bisogno di colesterolo può fare due cose. Primo, comincia a mettere in moto l' EDC, l' Enzima Del Colesterolo quindi, per farsi da sola il colesterolo di cui ha bisogno. Secondo, per fare poi ancora più in fretta a recuperarlo, la cellula porta sulla superficie della sua membrana dei recettori per l' LDL che, quando una passa di lì, l'acchiappano al volo e la portano dentro per smontarla e prenderne il prezioso contenuto, tutto o in parte. Ecco che quindi una volta che il colesterolo è dentro, stiamo tranquilli, scampato pericolo, non fa più danno a nessuno. Per cui appare chiaro che più recettori abbiamo sulle nostre membrane cellulari, più siamo contenti perché nei confronti delle LDL fanno un po' lo stesso lavoro che fanno le HDL nel sangue. Concludendo questa storia, se l' EDC è già di suo molto attivo la cellula non avrà motivo di mandare molti recettori a prendere il colesterolo dal sangue, perché se lo sta già facendo lei e le LDL perciò nel sangue continueranno pericolosamente a circolare. Quest'ultima situazione, guarda caso, si verifica quando c'è in circolo l'insulina, ebbene si ancora lei! Quindi l'insulina, quella degli zuccheri nella dieta, non solo stimola la produzione di colesterolo ma ne ostacola pure la rimozione dal circolo sanguigno per il meccanismo appena visto. Se invece l' EDC è inibito come accade in presenza dell'ormone GLUCAGONE (antagonista dell'ormone INSULINA), dell' acido butirrico della fibra, visto prima, la somministrazione delle statine etc, allora la cellula dovrà compensare inviando sulla sua superficie molti più recettori del normale e così facendo si affiancherà all'azione degli spazzini HDL. Ultimissima cosa da dire sull'argomento: se le LDL in giro nel sangue, sfiga vuole, si ossidano (e succede se nella nostra dieta non assumiamo cibi che tipicamente contengono antiossidanti, verdura e frutta, ma non solo), è una catastrofe! Perché a quel punto non vengono neanche più riconosciute dai recettori cellulari, anche se correttamente messi fuori, per cui non hanno altro destino se non quello di rimanere in giro e depositarsi sulle nostre povere arterie.RIEPILOGANDO:N°1: Il colesterolo non è un veleno, non è una malattia ma una sostanza indispensabile per la vita;N°2: Gli alimenti ricchi di colesterolo non fanno aumentare il colesterolo nel sangue in modo significativo. Per cui potete tranquillamente mangiare le uova senza limitarne a 2/3 per settimana (chiaramente l'albume quante volte vi pare!);N°3: I trigliceridi ma soprattutto gli zuccheri (specie quelli semplici=insulinici) negli alimenti, quelli si possono trasformarsi in colesterolo e fare molti danni;N°4: Quando fate le analisi del sangue ricordatevi di controllare il rapporto LDL/HDL e fatevi un esame di coscienza se vi viene maggiore di 4. Ricordo che l'unico modo di far aumentare le HDL in maniera significativa è quello di fare attività fisica ad un'intensità medio/alta e continuativamente nel tempo (altrimenti torneranno subito come prima);N°5: Assicurarsi un abbondante apporto di antiossidanti attraverso gli alimenti e/o l'integrazione alimentare per limitare il più possibile l'ossidazione delle LDL.CONCLUSIONI:Dopo questo riassunto del riassunto del riassunto, anche un po' romanzato (spero mi scuserete ma è stato fatto volutamente per tentare di non annoiarvi troppo), di ciò che avviene nel nostro organismo, il messaggio che volevo trasmettervi è il seguente: Abbiamo a disposizione molte strategie per abbassare il colesterolo attraverso l'alimentazione, di alcune ne abbiamo già parlato ma ce ne sono altre, tipo l'uso dei fitosteroli, degli Omega3 (tramite un corretto rapporto con gli Omega 6), l'assunzione dei vari tipi di fibre, alcuni minerali, vitamine etc. Ma ricordiamoci essenzialmente questo, se si è abbastanza motivati si può fare tranquillamente a meno di ricorrere ai farmaci, che di sicuro agiscono ma possono spesso avere degli effetti collaterali. Alcuni dei quali magari li scopriremo solo fra parecchi anni. La storia ce lo insegna, non fosse altro perché la ricerca va avanti, di continuo...

FOOD NEWS SPECIALE N°3 - LATTE si, LATTE NO: La risposta è dentro di te...

Non avete idea da quanto tempo volevo pubblicare questo Speciale Food News. Mi prudevano quasi i polpastrelli! Alla fine, leggendo anche gli ultimi studi in merito all'argomento, non ce l'ho proprio fatta più. Mi sono sforzato anche di essere il più imparziale possibile (impresa titanica per me, considerato l'argomento), secondo voi ci sarò riuscito ? Ma certo che no... 

PREMESSA Latte e latticini fanno bene o male? Questo è forse uno dei temi più dibattuti degli ultimi decenni, gli studi danno spesso risultati contrastanti, ogni ricercatore ed esperto del settore si fa la sua opinione a riguardo e se c'è confusione tra i ricercatori, nutrizionisti ed esperti, figuriamoci tra i "non addetti ai lavori". Facciamo chiarezza...o almeno tentiamo.Quel che è certo è che sempre più persone riferiscono di trarre notevoli benefici dall'eliminazione o riduzione drastica dei latticini nella propria dieta, le intolleranze sono all'ordine del giorno, sorgono sempre più dubbi sulla qualità e la provenienza del latte vaccino; per fortuna l'Italia ha di recente rifiutato la richiesta dell' UE di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale. Alla diatriba si aggiunge poi anche la questione etico-ambientale legata agli allevamenti intensivi di bestiame. Nonostante queste motivazioni abbiano portato ad una riduzione del consumo di latticini, abbiamo sempre il "grillo parlante" sulla spalla a chiederci "ma siamo proprio sicuri di non incorrere in carenze alimentari?". La risposta (ve la dico subito) è NO, e alla fine di questa dispensa capirete molto bene il perché...Latticini: cosa sono?Per legge il latte è "il prodotto della mungitura regolare, completa e ininterrotta della mammella di bovine che si trovino in buono stato di salute e di nutrizione e non siano affaticate dal lavoro". Il latte non proveniente da bovina dev'essere evidenziato con il nome della specie da cui proviene, es. latte di pecora.Il latte che ha subìto almeno un trattamento termico o altro trattamento equivalente può essere classificato come segue:- latte intero, contenente almeno il 3,5% di grasso;- latte parzialmente scremato, contenente tra l'1 e l'1,8% di grasso;- latte scremato, contenente meno dello 0,5% di grasso;- latte concentrato, ottenuto per evaporazione dell'acqua, quindi arricchito di tutti i costituenti;- latte in polvere, è il prodotto ottenuto dalla disidratazione quasi completa del latte;- latte industriale, è quello utilizzato per la fabbricazione di burro e formaggio. Dal punto di vista biologico il latte è un secreto della ghiandola mammaria prodotto in parte a spese del sangue (es. globuline) ed in parte elaborato dalla mammella stessa (es. caseine).Non esiste invece una definizione di latticini, quindi l'interpretazione non è univoca. Popolarmente si intendono tutti i derivati del latte di mammiferi allevati come mucca, capra e pecora; comprendono i prodotti che derivano dal latte per fermentazione, come yogurt e kefir, formaggi freschi come stracchino e caciotte, formaggi stagionati e ricotta, che va menzionata a parte perché prodotta solo con il siero del latte, il prodotto di scarto della produzione del formaggio.Composizione del latteTutti i latti di mammiferi che troviamo in commercio (mucca, capra, pecora) hanno una composizione analoga: acqua, grassi e proteine. Le proteine sono di due tipi: caseine (prodotte dalla mammella) e proteine del siero che derivano dal sangue dell'animale. Il latte di capra e il latte di pecora si differenziano dal latte di mucca per alcune caratteristiche. Il latte di capra ha un maggior contenuto di acidi grassi a corta e media catena che lo rendono da un lato più digeribile e dall'altro più saporito. Un altro interessante aspetto nutrizionale che riguarda questa categoria di acidi grassi tipica del latte di capra (butirrico, caprico, caprilico, caproico, laurico), è l'assenza del potere aterogeno che caratterizza gli acidi grassi a lunga catena ed in particolare il palmitico contenuto nel latte di mucca. Quindi gli acidi grassi contenuti nel latte di capra non hanno alcun effetto sul tasso di colesterolo nell'organismo. Le proteine del latte di capra sono molto simili a quelle del latte bovino: tra gli amminoacidi spicca il maggior contenuto in taurina. Il latte di pecora risulta molto più calorico rispetto al latte di mucca a causa della maggior composizione lipidica, proteica e glucidica rispetto all'acqua. La qualità dei grassi del latte di pecora invece non si differenzia molto da quello vaccino.LattosioIntorno al lattosio spesso si crea confusione perché molti consumatori pensano che i prodotti ovini (derivati dalla pecora e dalla capra) non contengano lattosio, ma questo zucchero è la peculiarità di tutti i tipi di latte di mammifero ed è responsabile di una grossa fetta di intolleranze ai latticini, ma attenzione non tutte e quindi i prodotti in commercio senza lattosio sono adatti solo ad alcuni tipi di intolleranze. Riprenderemo questo argomento più avanti. Per essere digerito questo zucchero necessita dell'enzima lattasi, che lo scinde in galattosio e glucosio. La lattasi viene prodotta dall'organismo dei mammiferi nei primi anni di vita per permettere la digestione del latte materno, ma una volta iniziato lo svezzamento la produzione diminuisce gradualmente fino ad essere minima in età adulta. È anche vero che la lattasi è un enzima inducibile, cioè più latticini si consumano e più ne viene prodotta. Si potrebbe pensare che allora basterebbe mantenere una dieta ricca di latticini per riuscire a digerirli meglio, ma non è proprio cosi: di fatto solo un quarto della popolazione mondiale ha la capacità di mantenere la digestione del lattosio in età adulta e sono soprattutto le popolazioni nord europee che hanno antiche tradizioni di pastorizia, mentre le popolazioni asiatiche o indiane sono per la maggior parte intolleranti. In realtà la vera anomalia sarebbe quella di mantenere l'enzima in età adulta perché secondo natura noi umani, come tutti gli altri animali, dovremmo smettere di bere latte una volta completamente svezzati. Esiste poi la carenza assoluta di lattasi invece è un'anomalia genetica e si manifesta subito dopo la nascita che rende necessario l'allattamento con latti delattosati o vegetali; nella maggior parte dei casi, si tratta invece di intolleranza "acquisita", che si manifesta più avanti con l'età proprio per la diminuzione dell'enzima o per alterate condizioni intestinali. Infatti, la produzione di lattasi dipende anche dalla temperatura e dal PH (acidità/basicità) intestinali, per cui una flora batterica squilibrata può portare ad avere disturbi simili all'intolleranza. In questo caso può essere utile eliminare i latticini per un periodo di tempo per poi fare un reintegro graduale tenendo sempre sotto controllo i sintomi e andando alla ricerca della propria "dose soglia". Nella produzione dello yogurt il lattosio viene parzialmente digerito dai batteri in cui è presente la beta-galattosidasi, un altro enzima adibito alla digestione del lattosio, che continua la sua attività anche nell'intestino umano, per cui lo yogurt può essere consumato anche da chi ha un'intolleranza lieve. Lo zucchero del latte viene ridotto anche durante i processi di stagionatura dei formaggi, ma devono essere comunque consumati con parsimonia. Oggi si trovano in commercio molti latti e latticini senza lattosio, chiamati latticini delattosati o HD (High Digestible) che vengono trattati con lattasi da lieviti o funghi in modo che il contenuto di lattosio venga ridotto (ma non eliminato). Questi prodotti però non risolvono il problema delle allergie o delle intolleranze alle proteine del latte e nemmeno degli "effetti collaterali" dovuti a tali proteine che vedremo qui di seguito.Di quali latticini stiamo parlando?Non tutti i latticini vengono per nuocere... in effetti un aspetto che viene preso poco in considerazione è che fa molta differenza il latte di provenienza. Se l'animale vive in un allevamento intensivo, con condizioni igieniche precarie (le mucche di allevamento intensivo sono molto soggette a mastiti), dove la mungitura è meccanizzata e dolorosa per l'animale che subirà un forte stress, dove viene nutrito con mangimi industriali, spesso a base di soia, mais e grassi vegetali trattati e a cui vengono somministrati antibiotici, antidolorifici e talvolta ormoni della crescita, il latte che ne deriva sarà carico di ormoni, sostanze chimiche e povero di vitamine e grassi buoni, senza considerare che sarà un latte più impattante sull'ambiente (per il consumo idrico che richiede un allevamento intensivo e per le maggiori emissioni di anidride carbonica) e molto poco rispettoso del benessere degli animali.Tutto un altro alimento è il latte di animali liberi al pascolo che nutrendosi di erbe selvatiche avranno un latte più ricco di omega 3 e CLA (Acido Linoleico Coniugato, che è un acido grasso polinsaturo appartenente alla famiglia degli omega 6) e anche di vitamine e oligoelementi. Questi animali saranno ben nutriti, meno soggetti a infezioni, subiranno meno stress perché producono meno latte e soprattutto non avranno necessità di assumere antibiotici o altre sostanze chimiche. Un altro passaggio fondamentale è la pastorizzazione che distrugge la vitamina C e uccide i batteri benefici che sono presenti nel latte crudo e che aiutano a ridurre i batteri patogeni. Anche le caseine con la temperatura diventano meno digeribili, il calcio meno assorbibile perché insolubile e si riduce anche la quantità di iodio.Meritano di essere citati a parte lo yogurt e la ricotta:Lo yogurt, per poter essere definito in questo modo, deve contenere due tipi di fermenti: lo Streptococcus Thermophilus ed il Lactobacillus Bulgaricus per legge. A differenza del latte, lo yogurt è molto più digeribile ed è particolarmente indicato per quelle persone che necessitano di una dieta ricca di calcio; grazie al suo basso contenuto di lattosio, che raggiunge solo il 3%, lo yogurt può essere consumato anche dai soggetti intolleranti o allergici al latte. Grazie all'alto contenuto di batteri, il consumo di yogurt determina un ricambio batteriologico nel nostro intestino, diminuendo la quantità di batteri negativi ed incrementando la flora intestinale benevola con il risultato finale di apportare benefici al funzionamento dell'intestino.Un altro aspetto importante legato all'assunzione di yogurt è la proprietà che esso ha di rafforzare il sistema immunitario contro l'attività di funghi, batteri e virus; rafforzando il sistema immunitario, lo yogurt apporta benefici anche ai soggetti che soffrono di allergie ed è utile per contrastare tutti i mali legati alla stagione invernale, come il raffreddore. Una regolare assunzione di yogurt porta benefici alla digestione, dona un buon contributo in termini di proteine, aiuta in caso di stitichezza, contribuisce a diminuire il tasso di colesterolo nel sangue ed ha notevoli altre proprietà. Da nominare anche il Kefir, un latte fermentato simile allo yogurt che è preparato con il kefiran, un polisaccaride che ospita batteri e lieviti benefici che aumentano le difese immunitarie, migliorano la flora intestinale e sembra riducano la proliferazione di cellule di leucemia linfoblastica.La ricotta, se preparata secondo la ricetta originale (solo siero di latte senza aggiunta di panna o latte), è un latticino molto particolare perché non contiene caseine che sono proprio le proteine che danno la consistenza di "colla" ai formaggi. La ricotta contiene quindi solo le proteine del siero, ad alto valore biologico, è ricca di minerali e povera di lattosio.E il calcio?È la prima preoccupazione di chi decide di eliminare o ridurre i latticini dalla propria dieta. Ma di quanto calcio abbiamo bisogno? Diversi studi riportano diversi fabbisogni: dai 400-500 mg di calcio al giorno consigliati dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per ridurre il rischio di osteoporosi ai 1000 mg al giorno consigliati per adulti entro i 50 anni dai nostri LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento dei Nutrienti) ai 1200 e 1500 mg al giorno per gli over 50 in USA e Canada. In realtà non ci sono evidenze sul fatto che incrementando il consumo di latte ci si protegga da rotture ossee negli anni successivi e anzi sembra che il calcio in eccesso venga eliminato con le urine. Anzi, secondo alcuni studi sembra che anche troppo calcio possa nuocere: per gli uomini può aumentare il rischio di cancro alla prostata e per le donne può aumentare quello alle ovaie. Inoltre, le popolazioni con il maggior consumo medio ci calcio come paesi del nord (Scandinavia, Finlandia) o USA e Nuova Zelanda hanno un tasso maggiore di fratture alle anche, mentre in paesi in cui il consumo di calcio medio è più basso (India e Giappone) il tasso di fratture è minore, ma ci sono molti fattori che potrebbero incidere su questo risultato: differenze nell'attività fisica, nell'esposizione alla luce solare e diverse abitudini alimentari. Per quanto riguarda le abitudini alimentari si è visto che chi consumava grandi quantità di proteine (carne, specie se rossa, insaccati, formaggi, uova, ecc.) e troppi alimenti raffinati (zuccheri, farine bianche, snack, grassi industriali, ecc.) aveva un maggior fabbisogno di calcio perché ne aumentava l'escrezione a livello urinario. Il tessuto osseo è tutt'altro che statico: gli osteoclasti rimuovono ogni giorno del tessuto osseo vecchio per sostituirlo con quello nuovo e questo è un processo fisiologico, ma con un'alimentazione scorretta si formeranno nei tessuti dell'organismo delle sostanze acide che dovranno essere tamponate, ovvero rese basiche, proprio sottraendo il calcio dalle ossa! Quindi, più si consumano proteine acidificanti, alimenti raffinati e ricchi di zucchero e più le nostre ossa saranno indebolite con il risultato che il fabbisogno di calcio aumenterà.I latticini sono la miglior fonte di calcio?Sebbene ne contengano molto...NO! Non sono la fonte preferibile per il contenuto di lattosio che provoca spesso intolleranze, di grassi saturi, di proteine che provocano acidità sottraendo calcio, per il fatto che il calcio è poco assorbibile perché legato alle caseine che sono grandi e difficili da digerire e per l'eccesso di ormoni (mucche, pecore e capre sono munte spesso mentre sono incinte) come estrogeni e progestinici che possono aumentare il rischio di cancro alla mammella e gli androgeni che aumentano il rischio di cancro alla prostata. Da non dimenticare gli alti livelli di IGF-1 che è correlato ad aumento di cancro alla mammella, alla prostata e al colon. Anche l'acne è frequente in consumatori di latte a causa dello sbilancio ormonale. Riassumendo, i latticini non dovrebbero essere la fonte preferenziale di calcio (fatta eccezione per yogurt e ricotta biologici) e dovremmo invece basare l'alimentazione sugli alimenti vegetali ricchi di questo minerale come: semi di sesamo o Tahin (tahini o tahina, una crema a base di semi di sesamo), fichi secchi, mandorle e nocciole, tofu, verdure a foglia verde come cavoli, spinaci, bietola, costa e radicchio verde, cereali integrali ed anche erbe aromatiche come prezzemolo, salvia e rosmarino che se anche vengono consumate in piccola quantità, se aggiunte ad ogni pasto possono contribuire a raggiungere il fabbisogno giornaliero. Ci sono altri comportamenti da adottare per prevenire l'osteoporosi ed avere ossa forti: in primis fare attività fisica costante! Se le nostre ossa sono sottoposte a continue forze, come accade praticando sport, le cellule del tessuto osseo percepiranno questo sforzo e attiveranno dei segnali per rendere l'osso più denso e forte. Durante l'infanzia e l'adolescenza l'attivtà fisica porrà le basi per delle ossa sane, negli adulti lo sport aiuterà a mantenerle tali, mentre nell'anziano servirà a ridurre le perdite. L'ideale è alternare esercizi di tipo aerobico con esercizi muscolari, senza esagerare con lo sforzo.La vitamina D è fondamentale per assorbire calcio e fosforo a livello digestivo; viene attivata dalla luce solare quindi è bene esporsi anche durante l'inverno per almeno 15 minuti al giorno senza protezioni. Alcune fonti segnalerebbero che i latticini biologici e da latte intero contengono più vitamina D rispetto a quelli convenzionali; ricordiamoci però che è di fondamentale importanza assumere dal cibo adeguate quantità di vitamina K che regola il metabolismo del calcio, aiuta la formazione e stabilizzazione delle ossa. I latticini ne sono sprovvisti, mentre ne sono ricchi i vegetali verde scuro (broccoli, spinaci, lattughe, cavoletti Bruxelles, ecc.). Il fluoro è un altro importante minerale che contribuisce a mantenere sane le ossa, ma è meglio evitare gli integratori che potrebbero portare ad irrigidirle troppo; il fluoro si trova nel pesce, in molti vegetali, nel tè e nei cereali integrali. Anche l'acqua può essere fonte sia di fluoro che di calcio.EFFETTO DEL CONSUMO DI LATTE E LATTICINI SUL SISTEMA IMMUNITARIO, SULLA PRODUZIONE DI MUCO, SULLE INFIAMMAZIONI ED ALTRO ANCORAAnalizziamo i molteplici effetti che i latticini producono nel nostro organismo una volta ingeriti. Forse qualcosa è già noto, ma cercheremo di approfondirlo dal punto di vista scientifico, mentre altri aspetti sono solitamente meno noti ai consumatori. Latticini e insulinaLe proteine dei latticini, in particolare le sieroproteine, stimolano la produzione di insulina, soprattutto quando sono associate a dei carboidrati. In questo caso viene potenziata anche di decine di volte la produzione di insulina. In uno studio pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition è stata studiata la particolare tendenza delle proteine del latte e dei formaggi a determinare una secrezione insulinica più elevata a confronto con altri gruppi di proteine. Oltre ad aumentare il rischio di diabete, l'insulina ha un'azione proliferativa su cellule sane e tumorali, è infiammatoria , favorisce la produzione del colesterolo LDL (cattivo) da parte del fegato ed il rilascio in circolo di ormoni estrogeni andando a peggiorare alcuni disturbi come la sindrome premestruale, dell'ovaio policistico, l'acne e alcuni tipi di infertilità. Le caseine, invece, sono quelle che maggiormente fanno innalzare i livelli di IGF-1 nell'organismo. L'IGF-1 (Insulin Like Growth Factor) è un fattore di crescita, un ormone prodotto principalmente durante l'adolescenza per accrescere i tessuti. In generale stimola la proliferazione cellulare (es. nel muscolo, nelle cartilagini, nelle ossa, nel cervello, nei reni, ecc.), ma quando l'IGF-1 è in eccesso e l'attività fisica in difetto, questo farà aumentare il grasso corporeo e non solo: le cellule tumorali hanno un maggior numero di recettori per IGF-1 e lo utilizzano per crescere!Quindi un uso eccessivo di latticini sembra favorire il progredire di cellule tumorali.Latticini e mucoOrmai da tempo è diffusa la credenza che consumare latticini favorisca la produzione di muco peggiorando sintomi di allergie, raffreddori, influenze, mal di gola, ecc., anche se le nostre nonne consigliavano "latte e grappa" o "latte e miele" per guarire questi disturbi. Purtroppo le evidenze scientifiche su questo argomento sono limitate, ma alcuni studi hanno dimostrato che nel colon umano la β-casomorfina-7 (β-CM-7), un peptide oppioide che deriva dalla digestione del latte di mucche A1, stimola la produzione di muco dalle ghiandole presenti nel colon. È possibile che questa β-CM-7 passi nel sangue, attraverso l'intestino, e vada a stimolare la produzione e secrezione di muco anche da parte di ghiandole respiratorie. Questo effetto può essere verificato su cellule in vitro (per i più curiosi: l'aggiunta al terreno di coltura di β-CM-7 stimola un incremento dell'mRNA di MUC5AC, la ghiandola che secerne muco) e dal fatto che nel sangue degli asmatici si è rilevata la presenza di β-CM-7. La relazione tra β-CM-7 e muco però non è così semplice: la persona deve consumare latte di mucche A1, β-CM-7 deve riuscire a passare nel circolo sanguigno e i tessuti devono essere già infiammati. Questi prerequisiti possono spiegare perché solo alcune persone che hanno un eccesso di muco nelle vie respiratorie, presentano una riduzione dei sintomi, inclusa l'asma, togliendo i latticini dalla loro dieta.Ma cosa sono le mucche A1?Sono razze di mucche "nuove" (es. Holstein e Friesian), cioè più recenti geneticamente, che hanno subito una mutazione in un particolare aminoacido (hanno l'amminoacido istidina al posto dell'amminoacido prolina) nelle proteine β-caseine, circa 5000 anni fa. Le mucche A2, invece, sono le razze più antiche (es. Guernsey, Jersey, asiatiche e africane) che non hanno questa mutazione. Nelle mucche A2 la prolina lega la β-CM-7 impedendone il rilascio, mentre nelle mucche A1 l'istidina crea un legame debole con β-CM-7 che così viene liberata nel tratto gastrointestinale degli animali e umani che bevono il loro latte.Altri studi non hanno trovato correlazione tra consumo di latticini e muco, ma nella pratica osserviamo che le persone che provano ad eliminare i latticini spesso risolvono svariati disturbi: il muco ha una funzione lubrificante e protettiva, ma se è in eccesso o se la consistenza è troppo densa può rallentare le funzioni dell'intestino o diminuire l'assorbimento delle sostanze nutritive, scatenare asma, raffreddori, sinusiti, mal di gola, otiti o peggio ancora, se il muco non viene espulso, creare addensamenti negli organi con conseguenze molto gravi.Latticini e sistema immunitarioLa composizione di grassi dei latticini in realtà è molto variabile e dipende anche dall'alimentazione degli animali. Il grasso del latte vaccino è molto complesso, composto di centinaia di acidi grassi diversi e prevalentemente saturi (i batteri presenti nel rumine idrogenano i grassi alimentari rendendoli saturi) che se assunti in grandi quantità possono portare ad un aumento delle infiammazioni, del rischio di malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di tumore. Consumare latticini a ridotto contenuto di grassi, i così detti "light", non è una soluzione: si mantengono tutti gli effetti negativi dell'insulina, ma si perdono vitamine importanti come la A e la D, si perde gusto e senso di sazietà (finendo con il ricercare altri cibi che diano soddisfazione) e, come segnala il ricercatore W. Willet, si è visto che spesso chi consuma i prodotti light si ritrova a consumare altri prodotti industriali che contengono proprio i grassi tolti a latte e latticini! Infatti spesso questi lipidi vengono usati per gelati, prodotti di pasticceria o snack industriali.In realtà non tutti i grassi sono da demonizzare: se il latte di partenza è di qualità può essere fonte di CLA (Acido Linoleico Coniugato) importante perché incrementa la funzionalità del sistema immunitario, inibisce la crescita dei tumori maligni, riduce la percentuale di massa grassa, migliora la sensibilità insulinica, previene l'atonia muscolare, abbassa il livello di colesterolo nel sangue ed è protettivo per aterosclerosi e osteoporosi. Il contenuto di CLA e omega-3, antiinfiammatori, è maggiore nei latticini biologici, soprattutto se le mucche hanno pascolato in alta montagna.In ogni caso latte e latticini, anche se biologici, vanno consumati con moderazione: basti pensare che il latte di mucca è stato progettato dalla natura per far crescere i vitelli, quello di capra e pecora per far crescere cuccioli di capra e pecora e quello umano è il nutrimento per i bambini. Infatti, il latte materno umano ha una composizione molto diversa da quella dei latti di altri mammiferi: contiene un terzo delle proteine (in particolare caseine), ha più lattosio ed è diversa la composizione dei grassi. Il latte di donna è ricco di omega-3, EPA, DHA e omega-6 tipo il GLA e il DGLA, "grassi che servono per la costruzione del tessuto nervoso e del cervello" ed è povero di grassi Trans (acido Rumenico e CLA) e grassi saturi, mentre nel latte di mucca, pecora, capra e bufala la composizione è completamente invertita. Inoltre, il latte materno contiene dei fattori di protezione immunitaria come immunoglobuline (es. IgA), lisozima (antibatterico), cellule del sistema immunitario (macrofagi) e favorisce lo sviluppo di bifidobatteri che inibiscono la crescita di patogeni.Degni di nota sono sicuramente lo yogurt, che aumenta l'immunità specifica (quella che produce anticorpi e ha memoria) e ha un maggior contenuto di CLA, e il kefir che riduce in vitro la proliferazione di cellule di leucemia linfoblastica. Entrambi migliorano la flora intestinale che costituisce la base per un buon sistema immunitario.Quando non assumere latticini- tumori: gli studi sui latticini sono molto confusi, si è trovata una correlazione tra consumo di latticini e aumento del rischio di cancro alla prostata e all'ovaio.Il consumo di latte sembra proteggere dai tumori all'intestino (forse per la presenza di calcio in loco), ma il rischio aumenta con il consumo di formaggi, verosimilmente perché ricchi di grassi saturi. Quel che sappiamo, però, è che i latticini alzano i livelli di IGF-1 e questo fattore di crescita è associato ad un maggior rischio di tumore alla mammella e a sovrappeso e obesità che aumentano a loro volta il rischio di ammalarsi di tumore. Inoltre, una dieta ad alto apporto proteico (i latticini sono alimenti ricchi di proteine) è sospettata essere responsabile della promozione del tumore.- patologie tiroidee: l'intolleranza al glutine o alla caseina del latte A1 può portare alla così detta Leaky Gut Syndrome (Sindrome della Permeabilità Intestinale, spesso precursore delle malattie autoimmuni come la Hashimoto o il morbo di Graves) che può portare ad infiammazione della ghiandola tiroidea e modificarne la funzione. I dati a riguardo sono pochi, ma in uno studio si è visto che in pazienti con tiroidite di Hashimoto o ipotiroidismo subclinico e con intolleranza al lattosio i livelli di TSH diminuivano se seguivano una dieta senza latticini. La diminuzione non era significativa in pazienti non intolleranti, ma è consigliato verificare se c'è l'intolleranza soprattutto se i pazienti hanno TSH altalenante o resistenza al trattamento con levotiroxina. Un'intolleranza al lattosio può portare a disturbi gastrointestinali che tra l'altro diminuiscono l'assorbimento del farmaco levotiroxina. In ogni caso, molti esperti riferiscono di aver trovato un miglioramento dei sintomi in persone con patologie tiroidee che toglievano i latticini dalla dieta.- il metodo kousmine e altri tendono a sconsigliare i latticini in caso di:• osteoporosi: il calcio del latte è biodisponibile, ma l'acidificazione dell'organismo provocata dal latte e soprattutto dai latticini (come da molti alimenti di origine animale) impedisce che si depositi sulle ossa, anzi contribuisce all'erosione delle ossa stesse;• tumori (vedi sopra);• problemi cardiocircolatori: per la presenza di grassi saturi. Gli unici formaggi consigliati, comunque con moderazione, sono formaggi prodotti in alta montagna (più di 1.500 m di altitudine), meglio se in zone fredde;• stati infiammatori come artriti e coliti: i grassi saturi, la carenza di omega 3 e l'iperinsulinemia indotta dai latticini aumentano tutte le infiammazioni presenti nel nostro organismo;• autismo: i latticini contengono peptidi oppioidi che portano all'inibizione della maturazione del sistema nervoso centrale, determinandone una progressiva disfunzione. I peptidi oppioidi innalzano la soglia del dolore, modificano i pattern del sonno e l'assunzione dei cibi e dei liquidi, agiscono sulla memoria e sull'apprendimento, regolano la temperatura corporea, agiscono sul sistema immunitario, sono coinvolti nel comportamento stereotipato e nella diminuzione della socializzazione, caratteristiche dell'autismo.Vantaggi dei latticiniRiassumendo, i latticini non sono da demonizzare, ma piuttosto dovremmo consumarli con maggior consapevolezza: non tutti i giorni, fatta eccezione per lo yogurt (bianco, pro-biotico e preferibilmente greco oppure il kefir) ma una o due volte la settimana se non vi è la benché minima intolleranza. Devono obbligatoriamente essere latticini di alta qualità, biologici e ancor meglio di malga, e se si beve latte è meglio che sia crudo perché anche con la semplice pastorizzazione si alterano molte componenti importanti. Questi latticini possono rientrare in una dieta sana e apportare anche dei benefici, ad esempio sono ricchi dell'amminoacido triptofano che migliora l'umore, contengono caseomorfine che, se in piccole quantità danno un effetto rilassante (ma attenzione che proprio per questo tendono a creare dipendenza!), contengono vitamina B12 e, per chi ha bisogno di aumentare la massa muscolare, sono i migliori anabolizzanti naturali.Personalmente ho bevuto un bicchiere di latte negli ultimi 10-15 anni. Essendo chiaramente per me un "avvenimento biblico", mi ricordo anche dove e quando successe l'evento. Era la scorsa estate in una valle del versante austriaco delle dolomiti. Ho conosciuto personalmente la mucca che lo aveva prodotto ed i prati dove pascolava, ettari ed ettari di verde a perdita d'occhio (veniva voglia di correrci sopra). Vi assicuro che aveva lo sguardo felice...Conclusioni:...no, nessuna conclusione stavolta. Questa volta le conclusioni le lascio trarre a voi...

FOOD NEWS SPECIALE N°2 - VITAMINA E , LA VITAMINA DELLA GIOVINEZZA

Con questo mio nuovo "FN SPECIALE" voglio porre alla vostra attenzione un'altra vitamina FONDAMENTALE per la nostra salute, al pari della Vitamina C. Chi avrà la pazienza di leggerlo sicuramente non ne resterà deluso e - alla fine - concorderà con me...Storia:La storia della vitamina C è affascinante, vale la pena spendere due parole per raccontarla: Per decenni è rimasta in ..."cerca di una malattia"...eh si perché dovete sapere che una molecola per assurgere al ruolo di "Vitamina" deve avere delle caratteristiche ben precise. Si deve cioè dimostrare che una sua carenza sia collegata all'insorgenza di un ben preciso caso patologico, proprio come ad es la Vitamina C con lo scorbuto, la Vitamina D con il rachitismo, etc. D'altronde le Vitamine fanno parte di una ristretta Elite di molecole che proprio il loro scopritore, lo scienziato polacco Casimir Funk, che per primo le identificò nel 1912 (Vitamina = ammina della vita, ovvero INDISPENSABILE ALLA VITA), decise dovessero essere quei composti organici appunto "essenziali" alla vita dell'uomo. Quando poi a cavallo degli anni 70 scoppiò in America la moda di assumere integratori vitaminici, in particolare di vitamina E, si osservò una riduzione dei casi di decessi per malattie coronariche che fino ad allora erano stati in costante aumento a partire - GUARDA CASO - da quando si era diffusa la pratica di raffinare i cereali per produrre il pane bianco, processo che toglie la crusca ma soprattutto il germe dal chicco del grano e - GUARDA ANCORA IL CASO - proprio lì ve ne è tantissima. Per questo motivo in quegli anni la vitamina E venne comunemente chiamata la "vitamina della giovinezza", in grado di rallentare i processi di invecchiamento, la formazione di rughe ma soprattutto l'insorgenza di malattie tumorali e cardiovascolari. Però rimaneva ancora il problema di fondo, c'erano tanti benefici ma mancava ancora l'informazione su una sua carenza grave tanto da mettere in serio pericolo la vita umana. Finalmente, è storia abbastanza recente, questo collegamento si trovò: la malattia associata alla carenza di vitamina E (peraltro abbastanza difficile da verificarsi in quanto la stessa anche se in piccole quantità è presente in numerosi cibi che assumiamo normalmente) è una grave neuropatia periferica caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni sensoriali, associata ad una perdita progressiva della coordinazione muscolare. E fu così che si poté definitivamente accordare a questa molecola l'appartenenza all'esclusivo "club" delle vitamine! Descrizione:La vitamina E è liposolubile (al contrario di altre che sono solubili in acqua: idro-solubili), ed è composta da un gruppo di componenti chiamati tocoferoli. Esistono sette tipi di tocoferolo in natura: alfa, beta, delta, ipsilon, eta, gamma e zeta. Di queste l'alfa-tocoferolo è la forma più potente di vitamina E ed ha un alto valore biologico e nutritivo. I tocoferoli sono presenti nelle massime concentrazioni negli oli vegetali spremuti a freddo, in tutti i semi interi crudi (specialmente in quelli di girasole), nelle noci e nella soia. L'olio di germe di grano è la prima fonte dalla quale la vitamina E è stata ottenuta. La vitamina E è necessaria per TUTTE LE FORME DI VITA CHE CONSUMANO OSSIGENO. La vitamina E è un potentissimo antiossidante dei lipidi, quindi combatte l'ossidazione di queste sostanze nell'organismo. La vitamina E protegge le altre sostanze dall'ossidazione sostenendo l'urto degli attacchi ai lipidi o ad altri componenti delle membrane (che sono appunto formate dai grassi). L'ossidazione del grasso dà origine ai tanto temuti (a ragione) radicali liberi. I radicali liberi sono molecole altamente aggressive che possono causare estesi danni all'organismo, dal cancro alle trombosi, ai danni al DNA. Le vitamine del complesso B e l'acido ascorbico sono entrambi protetti contro l'ossidazione, quando la vitamina E è presente nel tratto digerente. I grassi e gli oli contenenti vitamina E sono meno suscettibili alla rancidità di quelli che ne sono privi. La vitamina E è in grado di unirsi all'ossigeno ed impedirne la trasformazione in perossido, tossico; ciò permette ai globuli rossi di essere più riforniti di ossigeno, che viene poi trasportato dal sangue al cuore ed agli altri organi.Ma non è solo un antiossidante, ha anche una funzione molto importante nella produzione di energia. Svolge un ruolo importante nella respirazione cellulare di tutti i muscoli, specialmente quelli cardiaci e scheletrici. Inoltre, mette in grado i muscoli ed i nervi di funzionare con meno ossigeno, aumentando così la loro capacità di resistere agli sforzi per lungo tempo (a buon intenditor...). Essa causa anche una dilatazione dei vasi sanguigni, permettendo così un maggior afflusso di sangue al cuore ed essendo pure un' antitrombina altamente efficace nella corrente sanguigna, inibisce la coagulazione del sangue prevenendo la formazione di trombi. Contribuisce inoltre ad apportare nutrimento alle cellule, rinforza le pareti dei capillari e protegge i globuli rossi dalla distruzione causata da veleni come il perossido idrogenato (un radicale libero) nel sangue.E' in grado di migliorare la messa a fuoco della vista nelle persone di mezza età e stimola la secrezione urinaria, aiutando i pazienti cardiopatici i cui tessuti corporei contengono una quantità eccessiva di liquidi (edema). In qualità di diuretico la vitamina E è efficace per riequilibrare l'ipertensione. Protegge l'organismo dagli effetti dannosi dei veleni presenti nell'aria, nell'acqua e nei cibi, difendendo i polmoni ed altri tessuti dai danni provocati dall'inquinamento atmosferico. Impedisce l'ossidazione dei lipidi polmonari nell'organismo da parte dell'ozono. In questo processo di pluri-protezione, la vitamina E viene però essa stessa sacrificata e necessita quindi di una ricarica, una sorta di riattivazione, affinché il processo possa andare avanti. Chi la "ricarica" ? LA VITAMINA C!Assimilazione ed immagazzinamento:La vitamina E, come altre vitamine liposolubili, viene assorbita in presenza di sali biliari e grassi. Viene assimilata dall'intestino e trasportata dalla corrente sanguigna come tocoferolo al fegato, dove viene depositata in alte concentrazioni. E' anche immagazzinata nei tessuti grassi, nel cuore, nei muscoli, nei testicoli, nell'utero, nel sangue e nelle ghiandole surrenali e pituitaria. Sotto forma di unguento, può essere assorbita dalla pelle e dalle mucose. Quantità eccedenti di vitamina E vengono eliminate con le urine e tutti gli effetti scompaiono entro tre giorni. Le persone che si alimentano con una dieta equilibrata ricavano circa 15 UI al giorno da cereali integrali, oli vegetali, verdure a foglia verde e altre verdure. E' stato dimostrato che le forme naturali di vitamina E sono più efficaci di quelle sintetiche. Studi recenti hanno evidenziato differenze a livello cellulare tra la vitamina E in forma naturale e quella artificiale, nel controllo potenziale dei precursori ormonali (prostaglandine). Vi sono sostanze che possono determinare un impoverimento di vitamina E nell'organismo. Per esempio, quando il ferro in forma inorganica e la vitamina E vengono somministrati insieme, l'assorbimento di entrambe le sostanze diminuisce. Si suggerisce, proprio per un perfetto assorbimento, che il ferro venga ingerito 8-12 ore più tardi dalla somministrazione, unica, della vitamina E. Tuttavia esistono dei preparati multi-vitaminici che contengono formule di ferro compatibili. Integratori di ferro dovrebbero essere presi separatamente e se possibile a stomaco vuoto. E' preferibile prendere la vitamina E prima dei pasti o prima di andare a letto. Il cloro presente nell'acqua potabile, il cloruro di ferro, il grasso, l'olio rancido, la pillola contraccettiva e composti inorganici del ferro distruggono la vitamina E nell'organismo. Anche l'olio minerale, usato come lassativo (ad es. l'olio di vaselina), distrugge la vitamina E. Gli oli vegetali dissolvono l'alfa-tocoferolo e lo rilasciano nell'organismo, mentre l'olio minerale lo dissolve e ne ritarda l'assorbimento. Eccessivi quantitativi di grassi polinsaturi o oli nella dieta aumentano il tasso di ossidazione della vitamina E; più grassi insaturi si consumano, più aumenta il fabbisogno di vitamina E. L'estrogeno, ormone femminile, è antagonista della vitamina E, l'ingerimento di questo ormone rende molto difficile stabilire la quantità di alfa-tocoferolo di cui l'individuo è carente. Come abbiamo visto sopra un assorbimento inadeguato di vitamina E può essere parzialmente responsabile di disturbi muscolari e lo scarso rendimento di atleti, di disturbi digestivi come l'ulcera peptica e del cancro del colon. Un insufficiente assorbimento può pregiudicare la sopravvivenza dei globuli rossi. La vitamina E è presente in molti alimenti: il 20% di essa proviene dagli oli vegetali, come l'olio di semi di soia, di germe di grano, di cotone e di cartamo. Un altro 20% viene da frutta e verdura, 15% da frumento integrale e dai semi, di girasole in particolare. Ne troviamo piccole percentuali nella carne, nelle uova, nel pollame, nel pesce e nella frutta secca. I grassi animali contengono quantità modestissime di questa vitamina. Il mio consiglio è quello di assumerla dai semi di girasole, 3 cucchiai al giorno (15gr) la dose giornaliera. E' molto più sicura questa fonte di assunzione di qualsiasi olio in quanto non è a rischio ossidazione (gli oli vanno conservati in ambienti freschi, al riparo dalla luce, etc.)Viene inoltre distrutta dal calore della cottura (per cui è consigliabile consumare alimenti freschi e poco trattati),da qualunque tipo di frittura, dai raggi ultravioletti, dall'ambiente alcalino (come il bicarbonato di sodio), dall'ossigeno e dai sali ferrosi. Come abbiamo visto sopra gli alimenti che contengono grandi quantità di vitamina C favoriscono molto l'assorbimento della vitamina E (i broccoli e il cavolfiore per esempio, che contengono entrambi anche la vitamina E). Dosaggio e tossicità:L'assunzione di estrogeni, presenti nella pillola contraccettiva, può neutralizzare l'effetto della vitamina.La vitamina E può aumentare la pressione sanguigna nelle persone ipertese o che sono predisposte all'ipertensione. E' preferibile iniziare con piccole dosi, aumentando gradualmente il quantitativo. I diabetici dovrebbero evitare l'assunzione di dosaggi elevati. Prima di iniziare una terapia consultate il vostro diabetologo per il dosaggio ideale.Quando si utilizza la vitamina E per uso esterno, se ne consiglia la contemporanea assunzione per via orale. Tali metodi si sono rivelati complementari. 300 UI di vitamina E al giorno (1 UI = circa 0,7mg di alfa-tocoferolo "naturale" e 0,9 di "sintetico") danno sollievo ai crampi muscolari come quelli notturni alle gambe o ai piedi. Le persone che prendono farmaci anticoagulanti o quelle che hanno fattori di coagulazione ridotti, (come le persone carenti di vitamina K), possono essere predisposte a emorragie potenzialmente pericolose in caso di assunzione di dosi superiori a 400 UI al giorno. Un ritardo nella cicatrizzazione delle ferite è stato notato negli animali (la vitamina E inibisce la sintesi del collagene), ma non crea problemi in persone normalmente sane.I sintomi di intossicazione sono stanchezza, nausea, disturbi digestivi, problemi alla pelle, ferite e bruciature che non guariscono, o emorragie inspiegabili. Le persone che hanno avuto coaguli ematici dovrebbero consultare il medico per avere un dosaggio esatto della vitamina. Le dosi molto alte possono ridurre gli ormoni tiroidei, provocando debolezza muscolare. Ma qui si parla di dosi difficilmente raggiungibili nella realtà se non in dosaggi da ricoveri ospedalieri particolari.Effetti benefici nelle malattie:La vitamina E è un potente immuno-stimolante; le persone che hanno alti livelli di vitamina E nel sangue hanno ottimi livelli di funzionalità immunitaria. Dato che si conoscono le proprietà protettive della vitamina E nei confronti dei globuli rossi, si pensa che anche i globuli bianchi siano coperti. Le persone anziane hanno tratto grande beneficio dalle proprietà immunitarie della vitamina E. Dato che la concentrazione della vitamina E diminuisce con l'invecchiamento, l'integrazione può essere di aiuto nei casi di cambiamento dell'epitelio pigmentato della retina accompagnato da diminuzione della vista.La vitamina E agisce nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiache, come la trombosi coronarica e l'infarto, nelle quali i vasi vengono bloccati da grumi di sangue e parte del cuore viene privata della sua provvista di sangue nonché favorisce lo scioglimento dei trombi nelle arterie. L'angina pectoris, un dolore al torace che si manifesta in seguito ad un insufficiente apporto di sangue ai tessuti cardiaci, viene trattata con successo con l'alfa-tocoferolo. Le vitamine A ed E possono rivelarsi efficaci nel diminuire il tasso di colesterolo nel sangue, evitando depositi di grasso. Si ritiene che la vitamina E possa migliorare le performance atletiche (forza muscolare e vigore) aumentando il flusso sanguigno nei muscoli, ma gli studi al riguardo sono ancora in corso. Le persone con alti livelli di vitamina E nel sangue hanno due volte e mezzo meno probabilità di ammalarsi di tumore al polmone. Un'assunzione adeguata di vitamina E, che si comporta da spazzino di radicali liberi, protegge dal tumore. Il suo effetto antiossidante nei polmoni protegge dalle sostanze inquinanti. In alcuni studi effettuati sugli animali, è stato scoperto che la vitamina E protegge dalle tossine dell'ozono e dal diossido di azoto (componenti dello smog), un effetto benefico per chi vive in città. Gli animali ai quali è stata somministrata la vitamina E sono sopravvissuti più a lungo in quelle condizioni rispetto a quelli a cui non era stata data. Contribuisce a stimolare le difese immunitarie dell'organismo contro le infezioni virali e in certi casi può essere somministrata come vaccino anti-influenzale. Dosi massicce di vitamina E possono portare sia il siero che i livelli cellulari dell'organismo all'immunità influenzale. Una terapia a base di vitamina E è stata adottata anche per la cura del diabete. Dopo la somministrazione della vitamina, è stato riscontrato che i livelli di zucchero nel sangue si erano riequilibrati e che la quantità di insulina necessaria si era ridotta. Per il suo potere antiossidante, si ritiene che la vitamina E elimini il cattivo odore derivato dalla traspirazione. Borsite, torcicollo e artrite migliorano con una terapia a base di vitamina E. L'assunzione di dosi elevate ha addirittura migliorato casi di miopia e strabismo. Conclusioni:Come avrete certamente capito, da quando la Vitamina E è stata sdoganata come tale le ricerche sono proliferate a dismisura e più si approfondisce più si scoprono effetti benefici per il nostro organismo. Personalmente ne consiglio l'uso SPECIE DOPO i 45 anni qualsiasi sia il sesso, soprattutto agli sportivi e SEMPRE IN ASSOCIAZIONE alla vitamina C. Ovviamente come ogni integrazione mirata di una o più vitamine specifiche è pressoché inutile senza una base multi-vitaminica/minerale, ovvero ad ampio spettro.

FOOD NEWS SPECIALE N°1 - VITAMINA C E RAFFREDDORE

Con questo mio primo "FN SPECIALE" voglio inaugurare - contemporaneamente - una nuova tipologia di argomenti, diversi rispetto a quelli trattati fino ad ora dove vi ho parlato strettamente del cibo. Una sorta di "forse tutti non sanno che..." con uno scopo ben preciso: la prevenzione. 
Moltissimi studi recenti pongono sempre più attenzione a questa branca del nutrizionismo. O meglio, l'attenzione c'è sempre stata ma il boicottaggio sta sempre un passo avanti e spesso le carte vengono mischiate ad hoc, quando non proprio messo tutto a tacere totalmente. Oggi vi riporto un simpatico aneddoto (vero!) riferito alla vitamina C e ad un esperimento - di successo - effettuato già nel lontano 1964 a seguito delle geniali intuizioni di un (non a caso) pluripremio Nobel, il biochimico Linus Carl Pauling (1901 - 1994). Avevo un anno...non mi fate pensare a quante centinaia di raffreddori mi sarei potuto evitare... Buona lettura!
Nel numero di luglio-agosto del 1967 della rivista "Fact", apparve un articolo intitolato «Why Organized Medicine Sneezes at the Common Cold» (Perché la medicina ufficiale fa beffe del comune raffreddore). Questo articolo era firmato da tale dottor Douglas Gildersleeve, evidentemente uno pseudonimo usato per evitare le conseguenze di aver scritto «un'eresia» su di un giornale a diffusione così popolare(!). L'autore riferiva di riuscire a sopprimere i sintomi del raffreddore facendo un uso di vitamina C di 20/25 volte superiore ai 200 mg giornalieri citati dai ricercatori di cui aveva letto i rapporti fino a quel tempo pubblicati. Dopo studi compiuti su più di 400 raffreddori presentati da 25 individui, in maggioranza suoi pazienti, aveva rilevato che il trattamento con dosi elevate di acido ascorbico era efficace nel 95% dei casi (!!).
Il sintomo più frequente del raffreddore, l'eccessivo colare di muco dal naso, scompariva completamente con l'uso dell'acido ascorbico; gli altri sintomi come starnuti, tosse, mal di gola, voce rauca e mal di testa, qualora si fossero manifestati, comparivano in forma lieve. Riferì anche che neppure uno dei pazienti ebbe mai a soffrire di alcuna complicazione batterica secondaria.
Nel suo articolo, Gildersleeve riferiva che già anni prima, ed esattamente nel 1964, aveva scritto un altro articolo in cui descriveva i risultati delle sue osservazioni: lo aveva inviato a 11 diverse riviste mediche, che lo avevano rifiutato in blocco. Un direttore - candidamente - gli scrisse che sarebbe stato dannoso per la sua rivista pubblicare una cura utile contro il raffreddore, affermando che le riviste mediche dipendevano, per sopravvivere, dal sostegno fornito dagli inserzionisti e che più del 25% degli annunci pubblicitari era relativo a farmaci brevettati per alleviare i sintomi del raffreddore o per il trattamento delle complicazioni che da esso possono derivare. Un altro direttore gli disse che respingeva l'articolo perché non conteneva la verità. Quando Gildersleeve gli chiese perché, costui rispose: «Venticinque anni fa, facevo parte di un gruppo di ricercatori che indagavano sulla vitamina C. Stabilimmo allora che il farmaco non aveva nessuna validità contro il raffreddore». Non rimase per nulla impressionato quando Gildersleeve replicò che la quantità di acido ascorbico che veniva usata durante le prime ricerche corrispondeva solo a un venticinquesimo dell'ammontare minimo necessario per ottenere un risultato significativo. Spiegando la ragione del titolo del suo articolo, Gildersleeve lo concluse così: «... avendo io stesso lavorato come ricercatore nel campo, sono dell'opinione che ci sia un trattamento efficace, una cura per il raffreddore comune, e che essa venga ignorata a causa delle perdite economiche che deriverebbero alle case farmaceutiche, alle riviste mediche e ai medici stessi».
Buona prevenzione a tutti !

© 2020 Stefano Donati, esperto in nutrizione. Ladispoli e Roma
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